Trieste, morto per un infarto dopo le visite in clinica: cardiologo a processo

Un medico della Salus è accusato di omicidio colposo. Nel mirino gli esami effettuati nei giorni precedenti il decesso

TRIESTE Un «fastidio» al torace. La visita cardiologica alla Salus che non diagnostica nulla di preoccupante. La morte per infarto pochi giorni dopo.

Sul decesso del cinquantacinquenne Andrea Vouch, uno dei veterinari più apprezzati a Trieste, scomparso improvvisamente il 19 novembre 2017, sta per partire un processo per omicidio colposo. L’imputato è il medico della Salus che all’epoca dei fatti aveva visitato Vouch: il dottor Ezio Alberti, responsabile del servizio di cardiologia; un professionista con decenni di esperienza e che in passato aveva lavorato anche al Maggiore. Il pm Matteo Tripani, che ha indagato sul caso, ha chiesto il rinvio a giudizio dello specialista. Alberti sarà giudicato in rito abbreviato dal gup Guido Patriarchi.

La vicenda è disseminata di interrogativi. Cosa ha riferito esattamente Vouch quando si è rivolto alla Salus? Il sintomo lamentato poteva far ipotizzare un problema serio? Il cardiologo, con gli elementi che aveva, si è prodigato a sufficienza per il paziente?

I fatti. È il 14 novembre quando il cinquantacinquenne – fumatore e iperteso – si reca alla Salus per un accertamento. Il dottor Alberti sottopone il paziente a un elettrocardiogramma che però non segnala alcunché. Il referto della visita, redatto dal medico stesso, riporta un «fastidio oppressivo retrosternale della durata di almeno 3 ore, recidivato nella notte e persistito per circa 30’. Recidiva analoga molto lieve due giorni fa». Per il cardiologo quel «fastidio» non aveva un’origine cardiaca ma, presumibilmente, gastrica (un riflusso).

Ma il giorno dopo il cinquantacinquenne ritorna alla Salus perché, come confermato dalla moglie nella sua deposizione, Vouch continua a non sentirsi bene. Il medico fa un altro elettrocardiogramma. Anche in questo caso non viene evidenziato nulla di particolarmente rilevante (il tracciato risulta solo lievemente alterato). Tre giorni dopo, cioè la sera del 18 novembre verso le undici e venti, il veterinario perde conoscenza. In quel momento è in casa: la moglie chiama il 118, ma i tentativi di rianimazione sono vani. A mezzanotte e venti del 19 novembre, viene constatato il decesso.

L’autopsia, eseguita la settimana successiva, certifica un «infarto miocardico». L’8 dicembre viene accertata una «morte naturale improvvisa» conseguente a «emopericardio secondario a infarto miocardico postero-laterale complicato da espansione e rottura lenta, ovvero databile tra i 3 e i 7 giorni dall’esordio infartuale». Così si legge nella relazione del medico legale e del cardiologo ingaggiati dalla Procura. Secondo i periti il dottor Alberti «non poteva fidarsi degli elementi a disposizione (quanto riferito dal paziente durante la visita e gli elettrocardiogrammi, ndr), ma doveva inviare il paziente in Pronto soccorso per i dovuti approfondimenti». Anche perché «la sintomatologia riferita da Vouch risultava tipica per sindrome coronarica acuta già nella descrizione della visita cardiologica del 14». Quindi «la morte poteva essere evitata».

L’imputato non dichiara nulla: «Mi attengo all’onestà intellettuale dei periti e all’obiettività dei giudici», dice. Il legale che lo difende, l’avvocato Guido Fabbretti, precisa: «Il paziente durante la visita non era sofferente. Aveva riferito di un vago fastidio al torace di 5 giorni prima, negando irradiazioni, sintomi alle braccia o altro. E gli elettrocardiogrammi erano nella norma. Un quadro che non lasciava presagire un disturbo cardiaco».

La famiglia della vittima è difesa dall’avvocato Alessandro Cappello di Bologna che, annuncia il legale stesso, ha preparato una causa civile nei confronti del medico e della clinica. —


 

Argomenti:sanità

Riproduzione riservata © Il Piccolo