Trieste, morì sotto i ferri: in tre a rischio processo

Chiuse le indagini sull’intervento cardiologico costato la vita a un paziente nel 2014: per il pm fu omicidio colposo in concorso
Medici al lavoro in una sala operatoria (Foto d'archivio)
Medici al lavoro in una sala operatoria (Foto d'archivio)

TRIESTE Sono tre - due chirurghi e una strumentista - i presunti responsabili della morte di Franco Geromet, 48 anni, l’uomo originario di Staranzano morto il 18 agosto 2014 nella sala operatoria di Cardiochirurgia a Cattinara. Lo indica il pm Matteo Tripani nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari che è stato notificato nei giorni scorsi e prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. Accusa: concorso in omicidio colposo. I nomi indicati sono quelli dei cardiochirurghi Elisabetta Rauber, 48 anni, e Alessandro Moncada, 37, e della infermiera strumentista Elena Maghet, 35. Sono difesi dagli avvocati Claudio Vergine, Riccardo Seibold, Alfredo Antonini, Luca Maria Ferrucci e Lorella Marincich.

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Medici in sala operatoria

Secondo il pm Tripani - che si è avvalso della perizia del professor Maurizio Rubino, viceprimario del reparto di Cardiochirurgia di Padova, e dell’anestesista Eugenio Serra, pure padovano, i consulenti incaricati dal giudice Giorgio Nicoli - a commettere materialmente il fatale errore di rimuovere i markers identificativi del circuito della macchina cuore-polmoni agganciata al corpo di Franco Geromet era stata la strumentista che, come rileva il pm nell’avviso di chiusura delle indagini, «nel tagliare il filtro del circuito rimuoveva anche i markers colorati identificativi posti sulle estremità dei tubi». Ma i due cardiochirurghi vengono tirati in ballo perché avrebbero dovuto verificare l’operato dell’infermiera «sia - si legge nel provvedimento - durante le operazioni di cannulazione, prima dell’avvio della macchina cuore-polmoni, sia in seguito» e cioè quando si sono manifestate gravi anomalie conseguenti all’inversione dei flussi ematici arterioso e venoso.

La perizia ha infatti attribuito «all’infermiera strumentista» la divisione del circuito per la corretta identificazione inequivocabile dei due poli, arterioso e venoso. «Questo primo passaggio è stata la causa del successivo concaternarsi di eventi».

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Chirurghi al lavoro in sala operatoria

In pratica la banale inversione dei tubicini, secondo gli accertamenti, ha provocato una sorta di terremoto nel sistema circolatorio del paziente che poi è morto in pochi minuti. Infatti il circuito venoso, invece che drenare il sangue per la sua successiva ossigenazione e trasmissione al circuito arterioso, pompava. Al contrario il circuito arterioso anziché sospingere verso l’aorta il sangue ossigenato, aspirava.

Le conseguenze hanno portato appunto, come viene indicato nell’avviso, «una progressiva e rapida desaturazione cerebrale», che ha provocato in pochi minuti il decesso del paziente a causa di un edema cerebrale e di un edema polmonare acuto.

Ma, come ha rilevato la perizia, «per prevenire l’errore, a chiunque spetti la responsabilità di dividere il circuito, deve sempre essere in grado, durante tutta la fase prodromica alla connessione macchina-paziente, di identificare inequivocabilmente la natura dei due tubi, arterioso e venoso». Come dire: bisognava controllare e prevenire.

Franco Geromet era entrato nella sala operatoria di Cardiochirurgia dell’ospedale di Cattinara per effettuare un intervento di applicazione di un by pass aorto-coronarico. Qualcosa, però, per l’appunto, nella fase preliminare dell’operazione definita di routine, era andato per il verso sbagliato. All'improvviso si era verificato infatti un problema tecnico relativo alla connessione delle cannule di collegamento della macchina cuore-polmoni al sistema circolatorio del paziente. L’intervento in anestesia totale prevedeva l’attivazione del macchinario. Ma l’anossia si rivelò fatale, proprio mentre i chirurghi stavano iniziando a incidere il torace. L’intervento vero e proprio poi non potè proseguire per quelle complicanze gravi insorte nella fase preliminare. E non ci fu più nulla da fare.

Nelle scorse settimane sono usciti intanto dall’inchiesta in forza di un decreto di archiviazione del gip Giorgio Nicoli, su richiesta dello stesso pm Tripani, l’anestesista Enrico Michelone, 35 anni, e il tecnico operatorio Jadranka Jankovic, di 59.

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