Trieste, morì sotto i ferri, condannati i tre imputati

Pene da 18 a 24 mesi per i due chirurghi e l’infermiera che scambiarono le cannule provocando la morte di un 48enne

TRIESTE Condanna per tutti i tre imputati, componenti dell’equipe del reparto di Cardiochirugia dell’ospedale Cattinara, in relazione alla morte del 48enne staranzanese Franco Geromet. Ieri, al Tribunale di Trieste, il giudice monocratico Francesco Antoni ha pronunciato la sentenza in serata. Due anni per il primo chirurgo Elisabetta Rauber, un anno e otto mesi per l’infermiera strumentista Elena Maghet, un anno e sei mesi per il secondo chirurgo Alessandro Moncada. La contestazione è quella di omicidio colposo.

Il 18 agosto 2014, sottoposto ad un intervento di bypass aortocoronarico, Franco Geromet non s’era più risvegliato a causa dello scambio delle cannule collegate ai tubi della macchina cuore-polmoni per la circolazione extracorporea, con l’inversione dei flussi ematici arterioso e venoso. Il giudice Antoni ha quantificato le provvisionali. A favore della moglie di Geromet 500mila euro, per la madre dell’uomo 80mila, per le sorelle Fabiola e Daniela 50mila euro ciascuna. Per tutti sospensione condizionale della pena e risarcimento delle spese legali. Il pubblico ministero Matteo Tripani era andato al rialzo. Tre anni per Rauber, due anni e sei mesi per Moncada e Maghet.

Paziente morì sotto i ferri a Trieste, condannati medici e infermiera


In esordio di udienza, ieri mattina, è stata proposta una transazione a favore delle parti civili. Poi il medico Alessandro Moncada s’è fatto avanti. Dichiarazioni spontanee. «L’evento di quel giorno è stato eccezionale, drammatico, imprevedibile», ha affermato. Ha raccontato la sua vita professionale. L’abbandono della terra di origine, la Sicilia, fino all’approdo a Trieste nel 2011. Si è definito un «giovane precario e in formazione», che «altro non poteva fare se non seguire le direttive e le consuetudini operative vigenti nel reparto». Ha insistito: «Un evento del genere non è mai accaduto, nè è stato mai tracciato». Ha distinto i ruoli, netti, tra medici e infermieri.

Articolato l’intervento del pm. Ha posto l’accento sulla strumentista che «non era competente. L’errore di aver passato un tubo per l’altro - ha affermato - sarebbe stato comunque verificabile nella fase finale». I due chirurghi «non avevano controllato al momento della connessione delle cannule alla macchina cuore-polmoni, e comunque prima dell’avvio della circolazione extracorporea». E l’errore «non è settoriale, riconducibile alla sola infermiera, poiché è obbligo dei medici garantire il controllo». S’è anche soffermato sulla mancata preparazione della strumentista osservando: «La dottoressa Rauber era intervenuta in modo decisivo per scegliere la sola Maghet, di fronte all’intervenuta disponibilità di una collega strumentista esperta. Un errore gravissimo». L’avvocato Emanuele Locatelli, che rappresenta Luana Miani, è stato di poche parole: «La responsabilità per imperizia è da ritenersi anche dopo l’avvio della Cec. È stata sbagliata la diagnosi dei chirurghi».

L’avvocato Riccardo Cattarini, che sostiene la parte civile della madre e delle sorelle del defunto, ha pigiato l’acceleratore. «Perché tanta fretta quel giorno di aprire la seconda sala operatoria?» . Ha parlato di due errori. «Lo scambio delle cannule tra venoso e arterioso». E poi «tutti sono andati in pallone». Ha evidenziato l’«assenza di formazione» per gli infermieri. Ha tirato in ballo Schettino per dire: «Hanno addossato tutta la colpa alla Maghet, che ha subito un’organizzazione che non dipende da lei».

Quanto ai legali della strumentista hanno premuto sull’«omessa vigilanza dei superiori gerarchici, chirurghi compresi». Gli avvocati di questi ultimi, infine, hanno sostenuto che «questo evento tragico non fa dei due chirurghi degli assassini. Entrambi - è stato affermato - si sono comportati in aderenza alle procedure operatorie in atto da decenni. E mai si è verificato un caso così eccezionale».

 

Riproduzione riservata © Il Piccolo