Trieste, minaccia e picchia la moglie: a processo

Violenze ripetute in casa: la donna presa per il collo e tirata per i capelli, sempre davanti al figlioletto. L’udienza a febbraio
Lasorte Trieste 24/02/17 - Tribunale transennato
Lasorte Trieste 24/02/17 - Tribunale transennato

TRIESTE «Ti uccido. Io ti uccido». Non l’ha solo minacciata di morte, ripetutamente per giorni e giorni. Ma l’ha anche picchiata. E l’ha fatto sempre davanti al figlio piccolo.

Succedeva di tutto nell’alloggio di una casa popolare di Opicina. Ciò che viene a galla dagli atti processuali relativi a un kosovaro di 33 anni, accusato di gravi maltrattamenti sulla moglie trentenne, racconta una storia di violenza e paura. Omettiamo nomi, vie e qualsiasi altro dettaglio che possa rendere riconoscibile tanto la vittima quanto il minore.

Il kosovaro è stato rinviato a giudizio su richiesta del pubblico ministero Pietro Montrone. Il giovane, difeso dall’avvocato Alessandro Giadrossi, ha chiesto il rito abbreviato. Il suo caso sarà discusso a febbraio. Ma dalle testimonianze della moglie è stato possibile ricostruire cosa accadeva tra quei quattro muri di casa. La donna e il bimbo vivevano nel terrore.

Tutto è cominciato circa tre anni fa, a partire da metà del 2014. L’uomo minacciava di continuo la sua compagna, dicendo che se lei lo avesse lasciato lui si sarebbe portato via il figlioletto. Un bimbo appena nato, di qualche mese soltanto. Le tensioni tra i due non si sono mai fermate. Qualche mese dopo, il kosovaro è passato dalle parole ai fatti.

Siamo nel gennaio del 2015 quando cominciano gli episodi più pesanti che hanno portato alla denuncia. Durante un litigio il marito perde il controllo e afferra per il collo la donna, gridandole che l’avrebbe ammazzata. Pianti, urla. Tutto dinnanzi agli occhi terrorizzati del bambino. Così l’anno successivo. È maggio: la moglie trova un sacchetto pieno di marijuana nei pantaloni del compagno. Lui se ne accorge, oppure è proprio lei, contrariata ad abitare in una casa in cui si nasconde stupefacente, a farglielo notare. L’uomo si arrabbia moltissimo e ancora una volta, come aveva fatto nei mesi precedenti, si avventa sulla donna e la agguanta alla gola. E di nuovo la minaccia di morte. «Ti uccido». Ancora urla, ancora pianti. Il bimbo che osserva tutto. Questo succedeva nei momenti di crisi, durante le liti furibonde tra i due. Ma la quotidianità non era di certo più felice. Tutt’altro. Il marito si rifiutava anche di aiutare la compagna nelle spese di ogni giorno. Niente soldi, neppure per sfamare il figlioletto.

Ma il giovane kosovaro fa addirittura di più. Siamo a febbraio di quest’anno: dalle parole l’uomo passa ancora alle mani. In almeno un episodio lui la afferra per i capelli, tirandoglieli violentemente. «Ti uccido, ti uccido», sbraita. E sempre davanti al figlio. La presenza del bimbo, durante i maltrattamenti, è una costante. Ed è un’aggravante destinata a pesare sul processo. L’udienza a febbraio.

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