Trieste, maxindagine sulle aiuole inquinate Il Comune studia il piano B
Gli accertamenti sui veleni dei giardini triestini, avviati dal Comune per verificare gli effetti dell’inquinamento della Ferriera sul suolo, dopo piazzale Rosmini e Servola potrebbero non fermarsi qui, ma trasformarsi in una maxi indagine sulle aree verdi di buona parte della città. Nella lista rientrerebbero le zone costruite in passato con terreno da riporto, compresa la pineta di Barcola ad esempio, per sondare l’eventuale presenza di sostanze tossiche oltre i limiti di legge. Un’ipotesi che gli uffici municipali prenderanno in considerazione, come ha confermato ieri mattina l’assessore all’Ambiente Umberto Laureni a margine di una Commissione in Consiglio comunale, nel caso l’Arpa dovesse rintracciare un inquinamento importante anche nel Giardino pubblico di via Giulia. Un sito, questo, già sondato e che rientra tra le aree lontane dalla Ferriera da mettere a confronto, stando a quanto prevede il protocollo operativo del Comune appena concordato assieme all’Azienda sanitaria e la Regione, con le particelle che si depositano attorno allo stabilimento siderurgico di Servola.
Entro il 15 maggio sarà possibile sapere se anche lì, in pieno centro, sono stati rinvenuti o meno idrocarburi policiclici aromatici in quantità preoccupante, analogamente a quanto avvenuto in piazzale Rosmini. Se così fosse si profilerebbe la possibilità di un “inquinamento diffuso”, dunque non circoscritto al popolare parco di San Vito, o alla pineta Miniussi di Servola, anch’essa contaminata, bensì esteso ad altre parti del perimetro cittadino che il Comune è chiamato a verificare. L'intero studio potrebbe quindi allargarsi ben oltre alle previsioni iniziali.
Paradossalmente, nel tentativo indagare la Ferriera, ora si rischia di scoprire altri “bubboni” su cui nessuno finora si era azzardato a infilare il naso. Cioè altri casi analoghi a piazzale Rosmini. Sono solo scenari, perché tra qualche giorno tutto potrebbe concludersi con un nulla di fatto davanti a dati rasserenanti sul Giardino pubblico di via Giulia. Ma il Comune mette le mani avanti e si prepara al peggio, non potrebbe altrimenti. «Spero che quanto rilevato a San Vito sia effettivamente un’anomalia - osserva Laureni a Commissione conclusa - lo vedremo tra pochi giorni quando avremo i risultati su via Giulia. Potremo dire che altre aree verdi non sono inquinate. Ma se per caso risultasse che anche quel sito ha dei livelli alti, la nostra valutazione della città deve cambiare. Ciò non significa che posso far vivere tutti sotto una sfera di vetro, ma devo segnalare che questa città, come tutte, ha una storia di emissioni e ricadute che ha determinato una certa tipologia di concentrazione nel suolo. Anche perché una volta si accettavano cose adesso impensabili - ragiona Laureni - intendo dire che smaltire ceneri su un terreno pubblico a lato mare un tempo era consentito, mentre ora sarebbe da denuncia penale».
Con un «inquinamento diffuso» scatterebbe il “piano b”. Ma sarà la Regione, davanti alla sfortunata ipotesi, a dover entrare in campo con un progetto di intervento complessivo. Con una valutazione del rischio e del reale impatto sito per sito, innanzitutto, ed eventualmente una rimozione delle zone contaminate. Risposte “particolareggiate”, dunque, a seconda dell’utilizzo effettivo da parte dei cittadini di ogni singola area verde. «Si definisce punto per punto cosa fare», sottolinea Laureni. Il Comune è pronto a tutto, anche se tra i funzionari c’è chi ritiene che la questione non dovrebbe assumere contorni ancora più allarmanti. «Dalla mia esperienza non ho mai avuto segnalazioni su conseguenze su piante e animali derivanti da un suolo inquinato - fa notare il direttore dei musei scientifici cittadini Nicola Bressi -, non abbiamo mai avuto alcuna evidenza di malformazioni o estinzioni delle specie. Sotto il profilo naturalistico non è mai accaduto nulla di strano. Per quanto riguarda i giardini - evidenzia l’esperto - ricordiamo che buona parte è circondata dal traffico cittadino e quindi i gas di scarico si depositano sul terreno. Non credo sia possibile che un’area verde urbana sia priva di benzene. Faccio notare che in alcune Paesi non è possibile produrre vino o miele biologico se il campo di coltivazione si trova nelle vicinanze di una strada trafficata, perché l’inquinante viene assorbito dai terreni. Ricordo inoltre che quando portiamo le scolaresche sul Carso facciamo notare agli studenti che le specie di fiori più delicate non crescono mai a bordo delle strade, perché i primi metri sono inquinati da benzene e metalli pesanti. Il terreno non ha modo di smaltire le sostanze e la contaminazione è inevitabile».
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