Trieste. Masegni rimossi, polemica sul loro destino
Chi l’ha visto? Ripensando ai pochi precedenti noti (le lastre originarie di piazza Unità finite a “La Subida” di Cormons perché lo consentiva il contratto fra Comune e impresa, o altre, ancora, ritrovate in qualche villetta del Carso) una setacciata in diretta tv nazionale potrebbe servire anche per il masegno storico. Quello che, ai tempi che furono, tappezzava ogni piazza e strada. E che, ai giorni nostri, riaffiora a “spottini”, al taglio del nastro di uno spazio pubblico riqualificato. Un patrimonio collettivo che in questi vent’anni o quasi di Seconda Repubblica (gli anni dei sindaci del “fare”, unti dal popolo) è stato levato da sotto l’asfalto, là dove si sistemava una piazza appunto. Per essere poi in parte fatto riemergere, ricollocato, e in parte fatto sparire, deportato.
Deportato sì, ma dove? Ufficialmente nei due magazzini comunali di via Alpi Giulie, sopra Altura, e di Giarizzole, nei pressi dell’ex inceneritore. Eppure, fuor d’ufficialità, ora che si torna a parlare di un progetto teso a riportare uno scorcio agli antichi splendori (leggi Ponterosso) riaffiorano dubbi e polemiche sulla reale destinazione di quei “pezzi” pregiati. A cavalcare gli uni e le altre è Bruno Cavicchioli, anima del Cosapu, il Comitato per la salvaguardia del patrimonio urbano di Trieste, impegnato fin dal secondo Illy (quello del rifacimento di piazza Unità) a difendere i masegni nell’ottica di un loro puntuale riutilizzo.
Cavicchioli, in effetti, ricorda di essere stato ricevuto in Comune a giugno dagli assessori a urbanistica e strade Elena Marchigiani e a demanio e lavori pubblici Andrea Dapretto, spalleggiato dai rappresentanti di Italia Nostra e di altri comitati. Tema dell’incontro: «L’eterno tema - come lo chiama lui - della tutela e del ripristino dei masegni nel corso dei lavori pubblici interessanti i lastricati storici della città». Alla prima “visita” a palazzo si è aggiunta una seconda: un’audizione nella Quarta commissione del Consiglio comunale, competente proprio sui lavori pubblici.
Risultato del doppio appuntamento: del tutto insufficiente, o meglio «pari allo zero», per Cavicchioli, che in un documento inviato a fine giugno anche a Roberto Cosolini, al direttore regionale dei Beni culturali Giangiacomo Martines e alla Corte dei conti lamenta che «i signori assessori, i quarti conosciuti nei tredici anni della nostra lotta all’insensata distruzione di un bene storico unico, hanno ripetuto lo stesso ritornello, per cui osiamo supporre che la farina provenga dal sacco dei tecnici comunali». «Ritornello» che parla, fra le altre cose, di «costi di ricollocamento alti» e di «pericolo per le carrozzine e i tacchi delle signore».
«Dicono in forma ufficiale - incalza a voce Cavicchioli - che i depositi sono pieni, mentre poi qualche dirigente fa capire che in particolare quello di via Alpi Giulie, il più grande, è vuoto. Il 15 giugno abbiamo chiesto, nero su bianco, di poter accedere ai magazzini. Siamo ancora in attesa». L’amministrazione cittadina, intanto, resta sul vago. Risposte precise a domande precise necessitano evidentemente di tempo, nella grande macchina Comune. Una pietra sopra le pietre cerca di metterla, nel pomeriggio di ieri, un comunicato ufficiale: «Il Comune da tempo si adopera per la conservazione e valorizzazione delle antiche pavimentazioni in masegno, tenendo conto anche delle disponibilità economiche, della possibilità reale di recupero e dei contesti in cui si opera. Si tiene dunque a ribadire che in alcun modo il materiale lapideo viene ceduto alle imprese a qualsiasi titolo». È l’illazione sulla punta della lingua di chi contesta.
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