Trieste-Madagascar La via della speranza contro l’epilessia

Monti, direttore di Neurofisiologia, sta seguendo passo passo i pazienti dell’isola soggetta a una forte crescita dei casi
Di Patrizia Piccione

Nel mondo occidentale la malattia neurologica più diffusa dopo l’ictus è l’epilessia. Di cui non si sente, quantomeno tra i non addetti ai lavori, parlare un granché. Non se ne sente parlare a livello di campagne di sensibilizzazione e neppure è legata a volti conosciuti. Non ci sono testimonial eccellenti nemmeno negli Stati Uniti, patria del coming out, con le star di Hollywood o i big della Silicon Valley che condividono sui social le proprie cartelle cliniche. E non per un attacco di riservatezza ma perché l’epilessia continua, all’alba del terzo millennio, ad essere avvolta dalla coltre medievale della malattia da nascondere. Insomma, come se quella che, spiegata in termini basici, è una scarica eccessiva di neuroni cerebrali celasse chissà quali stranezze.

Nei paesi sviluppati, con un’aspettativa di vita lunga, che tutti gli anni si registri un importante numero di casi nuovi è comprensibile. Lo è invece molto meno la forte crescita di ammalati in un Paese povero come il Madagascar, dove arrivare ai 40 anni è un lusso. È soprattutto la zona a Sudovest della grande isola di fronte alla costa orientale dell’Africa che registra un alto tasso di epilessia. Come mai? A porsi questa e, a caduta, molte altre domande, il neurologo triestino Fabrizio Monti, che da tre anni trascorre da volontario il mese di febbraio nell’Ospedale italiano Vezo, dove è stata creata, in collaborazione con la struttura di Neurofisiopatologia della Clinica neurologica di Cattinara, una piccola divisione di Neurologia, per seguire e monitorare i casi della zona. Sia nelle quattro settimane in cui è presente nella struttura sanitaria fondata dall’Associazione di volontariato Amici di Ampasilava sia dal dipartimento di Neurofisiologia di Trieste, di cui è direttore, Monti segue in real time i pazienti malgasci. «In un paese di 30 milioni di abitanti dove non c’è un sistema di assistenza sanitaria e i rarissimi ospedali offrono solo prestazioni a pagamento, una struttura come Vezo è un punto di riferimento importante», spiega Monti, che lo scorso febbraio ha portato sull’isola uno specializzando e un’infermiera professionale della Clinica neurologica. Dodici posti letto, una piccola sala operatoria, un laboratorio d’analisi, la radiologia e un poliambulatorio che lavora a pieno ritmo. Ma anche un ecografo e un elettroencefalogramma, lo strumento principale per lavorare al “Progetto epilessia”, con i referti che approdano tutti i giorni in Neurofisiologia a Cattinara via mail o via whatsapp, e che stanno dando corpo a un database per lo studio triestino sull’andamento della patologia. Tornando alla forte casistica del Madagascar, con il 51% dei pazienti che sviluppano i sintomi sotto i 20 anni di età, la causa principale è dovuta, come hanno avuto modo di realizzare in questi anni Monti e il suo team, alla parassitosi.

«Le condizioni di vita disastrose in questa parte poverissima dell'isola aprono la strada a malattie molto gravi, dalla Tbc alla sifilide e appunto all’epilessia», aggiunge: «Una patologia che si porta accanto un pesante fardello di conseguenze psicologiche e di carattere sociale, poiché spesso i malati sono emarginati e allontanati dai villaggi». Per gli abitanti di un’isola con una superfice il doppio dell'Italia, una popolazione di 30 milioni di abitanti e con in dotazione una sola risonanza magnetica e due Tac, la sopravvivenza è insomma una missione molto difficile. Ed è anche per questo che il piccolo grande ospedalino italiano - che copre un bacino d’utenza vasto pressappoco come il Nord Italia - con il suo turnover costante di medici, infermieri e tecnici volontari, è diventato un punto di riferimento vitale. Per raggiungere l’ambulatorio gli isolani si sobbarcano anche otto giorni di cammino o 10 ore di taxi - brousse su strade impossibili. «Il protocollo di cura va poi adeguato alla situazione locale - spiega ancora il neurologo, che il mese prossimo presenterà i dati di “Progetto epilessia” al convegno Ilae a Dakkar - poiché non è semplice instaurare un metodo che prevede una sequenza di medicine con chi fa già fatica a sopravvivere in mezzo a una strada». L’ineguagliabile esperienza del volontariato sull’isola ha inoltre un prezioso valore aggiunto, soprattutto per i giovani specializzandi: ovvero quello di (re)imparare a fare diagnosi con pochi mezzi, solo guardando e visitando la persona che sta loro di fronte, con gli occhi, le mani e un ritrovato sesto senso clinico.

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