Trieste, «Le maestre severe, i vecchi banchi in legno e quei grembiuli blu col colletto inamidato»

TRIESTE Della grande scuola elementare De Amicis, poco distante dal centro cittadino, in via Combi, restano poche testimonianze sulla storia e sui motivi della chiusura. Dal Comune, proprietario dell’immobile, arrivano solo alcuni dettagli sugli ultimi dieci anni, dai residenti la memoria si perde in un passato lontano, molti ricordano la struttura in piena attività negli anni ’70. Eppure l’edificio ha ospitato migliaia di alunni, intere generazioni che qui hanno studiato.
L’edificio immenso, dalle aule spaziose e dai finestroni che si affacciano sulla strada e sul cortile, è vuoto da tempo e sul portone principale c’è una grossa catena. Dentro, pochi mobili e soprattutto ampi spazi ormai deserti. Tra anni di stop e altri di riutilizzo, la scuola è stata parzialmente impiegata fino al 2011, quando alcune facoltà dell’università occupavano poche stanze dei piani superiori. L’edificio era stato poi destinato dal Comune a diventare un centro dati, progetto mai decollato. Nel 2014 l’ex scuola aveva accolto una trentina di rifugiati, una convivenza con gli abitanti della zona diventata fin dai primi giorni problematica, tanto che residenti e commercianti avevano raccolto in breve tempo 500 firme, per chiedere il trasferimento delle persone che di fatto soggiornavano nella struttura solo nelle ore notturne. Il gruppo era stato poi dirottato in un hotel di Barcola. Di recente invece l’assessore comunale al Patrimonio Lorenzo Giorgi ha annunciato che verrà avviata una sistemazione, con interventi già calendarizzati e inseriti nel piano opere del 2019, lavori che riguarderanno anche la ristrutturazione del tetto, rovinato da alcune infiltrazioni. La scuola diventerà la sede di diverse associazioni, con i grandi ambienti interni frazionati, per creare locali più piccoli.
Intanto anche sul web e negli archivi online del Comune, della De Amicis si sa poco o nulla. Sono gli ex alunni, attraverso foto e racconti, a far rivivere l’istituto, in diverse epoche. «Ho fatto le elementari lì dal 1970 – ricorda Susanna Cepak Zugna, che mostra alcune foto dell’epoca – il mio maestro era Bruno Vrabiz, che non dimenticherò mai, è morto all’inizio della terza elementare e ha lasciato un ricordo indelebile. A sei anni ci andavo da sola, accompagnata per mano da mio fratello di due anni più grande.

Ogni pomeriggio poi ci spostavamo al ricreatorio Edmondo de Amicis, mentre sabato e domenica si giocava nel piazzale Rosmini». Quasi tutta la famiglia di Graziella Semacchi Gliubich ha frequentato la scuola. «Mia madre dal 1916, i primi due anni sotto l’Austria e ha concluso le elementari in italiano sempre nello stesso edificio. L’aula era la medesima. Io ho iniziato nel 1938 completando i 5 anni. Mia sorella ne ha fatti due, poi la scuola è stata occupata dai tedeschi e gli alunni sono stati mandati alla San Giorgio. La mia maestra di chiamava Valeria Maineri, quella di mia sorella Bianca Dimini. Anche i miei tre figli sono stati nelle stessa scuola».
La memoria torna a quei tempi anche per altre due alunne. «Sono passati 45 anni da quando ho fatto le elementari alla mitica scuola De Amicis – dice Elena Cantori – nei miei ricordi in primis c’è la severità della maestra, in quegli anni era normale, però era anche molto competente. E poi i banchi vecchissimi in legno con il piano leggermente inclinato e il posto per inserire il calamaio con l’inchiostro, che sicuramente erano gli stessi che usava mia madre quando frequentava la stessa scuola. Un ricordo indelebile era l’uscita da scuola, che ci vedeva tutti schierati, quasi come un piccolo esercito di soldatini e si usciva sempre in file ordinate. In primavera a volte si faceva la merenda nel campo giochi del ricreatorio del comprensorio».
Negli stessi anni anche un’altra scolara. «Avevo la giovanissima maestra Gianna – dice Eva Trinca – poi c’era Don Dodi, il maestro di religione, che risentivo celebrare la messa di domenica. E poi ho in mente la fila di cappottini multicolore appesi ordinatamente nel corridoio lunghissimo, dove le nostre corse sfrenate erano all’ordine del giorno. In prima e in seconda il grembiule era viola chiaro, blu dalla terza, con il colletto inamidato e rigorosamente bianco, comprato dalla signora di Pinocchio, negozio rionale di abbigliamento dove tutta la città si riforniva per la scuola. E poi i compagni, le prime amicizie, i temi e i dettati che amavo tanto. Credo fosse un’educazione diversa, migliore, le ricerche si facevano sui libri, non “copia incolla” con i computer. La maestra ci conduceva all’approccio alla vita preparati e con la voglia di apprendere. In modo diverso rispetto ai tempi moderni. Imparavamo a conoscere le catene montuose delle Alpi e dopo decenni le ricordo ancora tutte e le ricordano ancora anche le care vecchie mura della nostra amata scuola De Amicis». –
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