Trieste, le chiusure domenicali nel mirino del Consiglio

TRIESTE. Nel giorno dell’approvazione in commissione del testo di legge sul commercio, torna d’attualità la regolamentazione delle chiusure domenicali in Fvg. I consensi sono trasversali, dopo l’inatteso annuncio con cui l’assessore Sergio Bolzonello ha demandato alle forze politiche le decisioni su eventuali limiti alle aperture dei negozi nei fine settimana.
Un tavolo di confronto politico è stato convocato per martedì prossimo, come spiegato dal presidente della II commissione, Alessio Gratton (Sel): «Servirà a presentare un emendamento che sintetizzi le esigenze di tutti i partiti, con l’obiettivo di implementare un numero congruo di domeniche, oltre alle giornate di chiusura festiva».
Gratton invita all’intesa bipartisan: «L’unica modalità per ottenere risultati in questa partita col governo è essere compatti, uscendo da quelle logiche di competizione politica che portano a sparare numeri a caso, con l’effetto di creare aspettative».
Renata Bagatin (Pd) ammette a sua volta che «l’introduzione di regole potrebbe interferire con le competenze statali, ma personalmente opterei per un calendario che limiti in maniera forte il numero di aperture domenicali, contemperando bisogno del consumatore e rispetto di lavoratori, esercenti e famiglie». Disponibilità arriva da tutta l’opposizione, a cominciare da Luca Ciriani (FdI): «Già con la giunta Tondo abbiamo fatto una legge che prevedeva le chiusure domenicali, poi abrogata dal governo Monti e dalla direttiva Bolkestein. La giunta Serracchiani non può però rimettere tutto al consiglio, ma dovrà fare propria la decisione dell’aula ed esercitare pressioni sul parlamento: al momento qualsiasi modifica in materia sarà infatti bocciata dal governo o impugnata al Tar dalle catene della grande distribuzione, diventando così una norma bandiera».
Ciriani espone la sua proposta: «Il compromesso sta in 10 domeniche di chiusura all’anno, senza considerare dicembre, dove è giusto mantenere la liberalizzazione. Dobbiamo riconoscere che il commercio non è quello di un tempo, ma anche pensare ai cittadini non soltanto come consumatori».
Riccardo Riccardi (Fi) è «pronto a discutere, ma senza prese in giro: la giunta ha finora deciso su qualsiasi cosa e adesso delega al consiglio, sapendo che non potrà ottenere risultati. Siamo davanti a una legge spot, che verrà impugnata dal governo. Sono da sempre favorevole alla chiusure domenicali, ma è chi governa a doverci spiegare le sue intenzioni, mentre Bolzonello se ne lava le mani».
Alessandro Colautti (Ncd) apre a sua volta: «Siamo convinti che una liberalizzazione spinta non accresca il giro economico, ma rischi anzi di mettere ancor più in difficoltà il piccolo commercio, cardine del sistema economico regionale. La politica deve muoversi attraverso normative europee stringenti e nel contesto di esigenze di tutela della qualità del lavoro e della concorrenza, delle abitudini sociali e religiose, nonché dello stile di vita dei lavoratori».
Barbara Zilli (Lega Nord) pone invece sul tavolo un’idea alternativa: «Turnare le aperture come per le farmacie, con un’articolazione su base territoriale, in modo tale da preservare esigenze di consumatori, negozianti e lavoratori. Bolzonello non ci dice quale sia la volontà della giunta, sapendo che l’iniziativa si rivelerà un nulla di fatto. Bisogna sfidare il governo e, in nome dell’autonomia, chiedere maggiori competenze regionali sulla disciplina del commercio».
Cristian Sergo (M5S) ritiene «profondamente limitativo approvare un ddl sul terziario, senza toccare il problema delle aperture domenicali. Per questo abbiamo deciso di astenerci, chiedendo di discutere di un minimo di 12 domeniche in cui chiudere i negozi. Il provvedimento rischia di non ottenere l’obiettivo prefissato, cioè di sfidare il governo Renzi sulla revisione della liberalizzazione del commercio, che in tutta Italia ha provocato la chiusura dei piccoli negozi, la desertificazione dei centri storici, licenziamenti e un utilizzo fuori controllo dei voucher al posto delle assunzioni. La liberalizzazione selvaggia non è stata imposta dal diritto comunitario, ma da una chiara decisione del governo Monti, non eletto dal popolo italiano».
Bolzonello ribadisce intanto la sua linea: «Abbiamo voluto lasciare il nodo delle domeniche al consiglio. È un punto che va al di là del dato economico e che va affrontato pensando all’idea di comunità che abbiamo in mente: ci vuole ora una condivisione complessiva».
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