Trieste lancia la riforma della legge Basaglia
TRIESTE. Sono passati quarant’anni dalla rivoluzione realizzata a Trieste da Franco Basaglia nel trattamento del disagio mentale e proprio da Trieste i continuatori di quell’opera di liberazione hanno avviato la riflessione sulla necessità di riforma della legge 180, che nel 1978 ha avviato il processo di chiusura dei manicomi, conclusosi dopo un lungo cammino soltanto nel 1999. Il testo sarà presentato domani in una conferenza in programma al Senato e prevede importanti novità, tese a rilanciare i principi e la concreta attuazione di una norma mai accompagnata da un regolamento stringente e dunque incapace di creare un quadro nazionale omogeneo, perché declinata attraverso leggi regionali molto diverse e non di rado tese a contrastare gli effetti di quel rovesciamento del paradigma psichiatrico.
La riforma punta a rafforzare i servizi per la salute mentale, innalzando il budget nazionale annuo dal 3,5% al 5% della spesa sanitaria: da 3,7 a oltre 5 miliardi. Il testo amplia gli orari di funzionamento dei servizi e ne fissa le caratteristiche, prevedendo investimenti per innalzare la qualità delle strutture e avviare nuove assunzioni. Forte inoltre l’accento sulla tutela da offrire in caso di trattamento sanitario obbligatorio (Tso), attraverso la nomina di un garante. Allo stesso modo, viene esplicitato il divieto all’uso di contenzione fisica e farmacologica, ancora in atto in molte realtà. La sottolineatura sui diritti della persona passa per un approccio integrato fra salute e sociale, dove il trattamento del disagio si accompagni al diritto del cittadino (e non del malato) di avere una casa dove vivere autonomamente e un lavoro che garantisca reddito e inserimento. La legge è fortemente incentrata sull’individuo, con l’introduzione di piani costruiti a misura di ogni singola persona. Per la prima volta, infine, si introduce l’elemento della prevenzione dei fattori di rischio presenti ad esempio nei luoghi di lavoro o a scuola.
Alla base della proposta c’è il modello Trieste, dove i Centri per la salute mentale sono aperti 24 ore su 24 fin dal 1978 e dove i posti letto ospedalieri sono ridotti al minimo, grazie a un’impostazione che punta al trattamento delle crisi e alla presa in carico di lungo periodo nell’ambito della sanità territoriale e possibilmente domiciliare. La riforma comporterebbe novità rilevanti nel resto d’Italia, dove i Csm operano in media solo 8 ore al giorno e mai nei fine settimana.
La 180 è stata infatti una legge quadro applicata poco e male in gran parte del Paese. Pur con l’impatto dei suoi principi di forte innovazione, quella norma nacque in tutta fretta per colmare il vuoto che avrebbe altrimenti lasciato il referendum con cui i radicali proposero di abrogare l’impianto legislativo risalente addirittura al 1904, quando l’Italia aveva introdotto il “ricovero definitivo”. In quegli anni Basaglia lottava muovendosi lungo il confine del lecito, riuscendo a trasformare i coatti in ospiti volontari e aprendo alla possibilità di entrare e uscire liberamente dai manicomi, senza più bisogno della firma del medico o della famiglia per tornare al mondo dei “normali”. Come spiega il direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste, Roberto Mezzina, «lo stesso Basaglia pensava che il Paese non fosse preparato alla 180, perché troppi erano gli elementi lasciati all’interpretazione di norme regionali dimostratesi inadeguate». Era d’altronde necessario un salto culturale che non fu possibile realizzare nemmeno in tutto il Friuli Venezia Giulia, se si pensa che uno degli ultimi manicomi a chiudere fu quello di Udine.
La legge verrà depositata al Senato, impostata da alcuni psichiatri operanti a Trieste - Mezzina, Franco Rotelli, Giuseppe Dall’Acqua e Giovanna Del Giudice - assieme alla senatrice Nerina Dirindin (Mdp) e al costituzionalista Daniele Piccione, dopo il confronto con le associazioni impegnate sul campo. I primi firmatari sono la stessa Dirindin e Luigi Manconi (Pd), ma il testo conta 45 sottoscrittori, tra cui i senatori regionali Francesco Russo, Carlo Pegorer, Ludovico Sonego e Lorenzo Battista. Rotelli, erede di Basaglia e oggi presidente della commissione regionale Salute, spiega che «si tratta di una proposta per la prossima legislatura: vogliamo aprire un dibattito sul testo e arrivare pronti per la prima seduta del parlamento. Altri testi in giacenza alla Camera non sono sufficienti. Vogliamo dare uno scossone: più servizi, più risorse, più qualità, più sostegno. Sarà una nuova rivoluzione». Rotelli ha lavorato di sponda col capogruppo alla Camera, Ettore Rosato, ma le speranze andranno verificate alla luce dei futuri equilibri politici, posto che al momento la riforma non ha ancora incassato un appoggio trasversale di centrodestra e grillini.
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