Trieste, l’addio al “re” triestino di strudel e rigojanci
TRIESTE Con i suoi strudel e la sua rigojanci ha deliziato il palato di intere generazioni di triestini, sempre rimanendo dietro le quinte, lasciando che a parlare per lui fossero quei dolci che hanno accompagnato compleanni, matrimoni e feste per oltre cinque decenni. Tre di questi li ha passati nel laboratorio della pasticceria Eppinger (poi La Bomboniera) di via XXX Ottobre, due alla Gustini di via Udine (ora Novak), senza mai stancarsi di sfornare prelibatezze, sempre con il sorriso sulle labbra.
Con la scomparsa di Luciano Finzi, avvenuta ieri all’età di 92 anni, se n’è andato un pezzo di storia di Trieste, ma anche il simbolo di un mondo antico, che ormai non c’è più. Nato poverissimo nel 1923 da padre ebreo e mamma cattolica, dopo essere rimasto orfano del primo a soli quattro anni si è rimboccato le maniche, iniziando a lavorare a 10 anni. Dopo aver provato a fare il macellaio («era un bambino troppo tenero, non faceva per lui» ricorda con affetto la figlia Clara), a 12 anni è stato assunto come garzone nella pasticceria Eppinger-La Bomboniera, dove è rimasto per ben trent’anni.
«Ogni giorno andava a piedi da Rozzol alla pasticceria e, per far passare il tempo e vincere la paura delle strade buie della notte (iniziava a lavorare prestissimo), raccoglieva una castagna o una pietra e la calciava fino a destinazione - racconta Clara Finzi -. A quei tempi non c’erano tutte le apparecchiature moderne e così la mattina, prima di iniziare a realizzare i dolci, doveva costruire con il fil di ferro la frusta per montare le creme». Altri tempi. Con quelle fruste, prima artigianali e poi diventate via via sempre più professionali, ha realizzato migliaia di dolci: tra le sue specialità spiccano quelli tipici della tradizione mitteleuropea - rigojanci, Dobos, strudel - ma anche bignè, granatine e crema Chantilly. Nella decorazione delle torte, poi, era un autentico maestro. Ogni lo chiameremmo cake designer.
Tanta dolcezza non gli ha impedito, però, di conoscere anche il lato amaro dell’esistenza: arruolato durante la guerra nel reparto degli alpini distaccato a Fiume, nell’aprile del 1945 viene catturato dai nazisti e internato nella Risiera di San Sabba. Per sua fortuna, vi resterà solo pochi giorni, senza venir mai “inquadrato” come ebreo, riuscendo così a evitare un destino ben più atroce.
Destino che, dopo qualche anno lo ha condotto a Grado: qui, nel 1949, durante una stagione passata a lavorare in gelateria, ha conosciuto Maria, con la quale ha condiviso quasi 67 anni di vita. Dal matrimonio celebrato nel 1953 sono nate due figlie, Clara e Daniela, e tre nipoti, Giulia, Sara e Francesca.
È per loro che Luciano Finzi ha continuato a sfornare prelibatezze fino alla soglia dei 90 anni, dopo essere andato in pensione nel 1990, con ben 55 anni “di servizio”. Compleanni, matrimoni, Natale: anche a casa ogni occasione era buona per dar sfogo alla sua fantasia, sempre accompagnato dalla moglie Maria, con la quale due anni fa ha festeggiato il traguardo delle nozze di diamante. «Mio padre non è mai stato un uomo di fama, ha sempre lavorato con passione dietro le quinte, dove i clienti andavano a ringraziarlo - ricorda ancora la figlia Clara -. Era un uomo buono, amatissimo da tutti. Un vero punto di riferimento per noi figlie e nipoti».
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