Trieste, l’addio a Naseri: lascia moglie e due figli
«Allahu Akbar», scandisce l’imam a voce alta. «Allahu Akbar», ripetono le persone allineate alle sue spalle dopo alcuni secondi di meditazione. «Dio è il più grande». All’ingresso della cappella mortuaria, dove si sta celebrando il rito funebre secondo i precetti islamici, vi è un feretro di color bianco, privo di alcun simbolo religioso. Davanti ad alcune centinaia di persone, in maggioranza profughi provenienti dall’Afghanistan e dal Pakistan, si sono consumate le esequie di Naseri Mohamad Gul, il giovane richiedente asilo morto suicida meno di due settimane fa a pochi passi dalla Questura che, è stato specificato ieri, lascia anche una moglie e due figli di 2 e 4 anni, oltre ai ngenitori, cinque fratelli e due sorelle.
La giornata dedicata all’estremo saluto al ventunenne afghano è iniziata presto. L’obitorio di via Costalunga è stato raggiunto alla spicciolata da numerosi gruppi di persone, tutte ospiti delle due realtà che a Trieste si occupano di rifugiati. In mezzo a loro, confusi fra la folla, gli operatori e i responsabili del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) e della Caritas, presenti discretamente per ricordare la vittima del tragico gesto e per stare vicini a quei ragazzi che, come stava capitando a Naseri, devono ancora affrontare il travaglio del riconoscimento della protezione umanitaria.
Le facce sono piuttosto tese e nessuno ha voglia di parlare. Gianfranco Schiavone, presidente dell’Ics, chiarisce subito: «È il momento del cordoglio. Vogliamo esprimere il nostro dolore e la vicinanza ai nostri ragazzi. Non è un giorno in cui alimentare polemiche». L’imam Maruf, sessantenne curdo proveniente dalla Turchia, è a Trieste da poco più di un mese, ospite del Centro culturale islamico “Saidi Nursi” di via Coroneo. Insieme ad altri quattro fedeli si è recato in via Costalunga alle 8 di mattina, per preparare la salma al rito funebre. Il lavaggio del corpo, infatti, è un passaggio fondamentale per il rito islamico, costituisce l’ultima purificazione per il defunto. Durante le abluzioni i presenti hanno accompagnato i gesti dell’imam con alcuni passi del Corano. Maruf, successivamente, ha avvolto le spoglie di Naseri in un lungo sudario bianco, che ha lasciato scoperto solo il volto, vicino al quale sono stati lasciati tre piccoli mazzi di fiori colorati.
Solo a questo punto la bara bianca è stata esposta nella stanza 17, quella che si affaccia sul campo 31, a pochi passi dalle tombe monumentali, dando il via al silenzioso pellegrinaggio di commiato. Qualcuno ha scelto un angolo dell’obitorio più appartato, per continuare a pregare con il “tesbih” in mano, il rosario islamico, necessario per contare le rituali 99 litanie. Altri, invece, hanno preferito rimanere all’aperto, in attesa del richiamo dell’imam per la preghiera conclusiva.
Accanto al feretro, per tutta la mattinata, ha trovato posto Nasiri Razakhan, il quarantenne cugino del defunto. A lui spetta il difficile compito di mantenere i contatti con Surkhakan, il villaggio nel distretto di Lagaman, dove risiede l’intera famiglia di Naseri. «Stiamo aspettando il nullaosta da parte dell’ambasciata afghana a Roma – spiega affranto al termine della cerimonia – per poter riportare in patria il corpo di mio cugino. Solo allora potrò avvisare i nostri familiari della sua tragica morte. Voglio risparmiar loro, il più possibile, un inutile dolore che l’attesa della salma non potrebbe che amplificare». Razakhan dovrà trovare le parole giuste per spiegare quanto successo in Italia, in quel Paese che Naseri aveva scelto come luogo di salvezza, alla moglie, ai due figli di 2 e 4 anni, oltre che ai genitori, ai cinque fratelli e alle due sorelle.
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