Trieste, La Regione paga 40 mila euro alla donna ferita da un cinghiale

L’animale aveva squarciato la gamba di una donna nel giardino di casa. Riconosciuta la responsabilità dell’ente che sborserà circa 40 mila euro
FOTO BRUNI TRIESTE 02 09 09 FAMIGLIOLA DI CINGHIALI IN VIA FORLANINI
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TRIESTE La prima battaglia l’ha vinta in ospedale, con le cure e la chirurgia plastica. La seconda in tribunale, dopo anni di udienze. Alla fine il giudice ha dato ragione a lei, la quarantunenne che nel 2012 è stata aggredita da un cinghiale nel giardino di casa: la Regione, a cui la vittima aveva chiesto i danni, è stata condannata in primo grado al risarcimento. Quarantamila euro, da quanto risulta. Una sentenza pilota che, in effetti, potrebbe fare giurisprudenza per altri casi analoghi.

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La vicenda risale all’estate 2012. È sera. La padrona di casa (A.D. le sue iniziali), allora trentacinquenne, si trova nella propria abitazione di via Timignano, a San Giovanni. A un certo punto sente i cani che abbaiano nervosamente in giardino. Si insospettisce ed esce per capire il motivo. Ma non si accorge di nulla. È in quell’istante che, all’improvviso, un grosso cinghiale sbuca dai cespugli e si scaglia sulla donna. L’aggressione è da paura. La trentacinquenne viene travolta e azzannata. L’animale poi fugge. La ferita è grave: un taglio di venti centimetri all’interno della coscia sinistra. La lacerazione è profonda. A. D. si farà quasi un mese di ospedale. Tre le operazioni chirurgiche subite, oltre agli interventi di chirurgia plastica ed estetica.

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La donna, dopo il calvario sanitario, ha deciso si ingaggiare un braccio di ferro con le istituzioni preposte al controllo della fauna selvatica. All’epoca si trattava della Regione e della Provincia, ma con l’abolizione di quest’ultima la pratica è passata interamente all’altro ente. La signora si è fatta difendere dall’avvocato Chiara Ferri: in prima battuta la legale ha proposto una soluzione stragiudiziale, ma il tentativo non è andato a buon fine. La questione è quindi approdata in tribunale. La causa è stata assegnata al giudice civile Mauro Sonego.

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Chiare le richieste della vittima: un indennizzo sia per le spese mediche che per i danni fisici ed estetici permanenti appurati con una perizia medico-legale.

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Ma per averla vinta bisognava dimostrare le presunte responsabilità della Provincia e della Regione. Non è mancato il palleggiamento tra le due istituzioni su chi doveva fare cosa. Gli enti avevano sorvegliato adeguatamente sulla popolazione di ungolati? E quali iniziative erano state attuate, all’epoca dei fatti, per evitare che gli esemplari si spingessero nelle zone abitate in certa di cibo.

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Le misure, come noto, sono annuali e spaziano dai piani venatori (l’abbattimento di un determinato numero di capi per limitare la presenza della specie), alle campagne di sterilizzazione. Ma anche la pulizia dei boschi, la recinzione di alcune aree, fino ai progetti di sensibilizzazione (con annesse sanzioni) per chi dà cibo agli animali selvatici.

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«Il controllo della fauna selvatica fa capo agli enti locali - rileva l’avvocato Chiara Ferri - ma non erano state poste in essere adeguati strumenti per evitare l’avvicinamento degli animali alle zone abitate e il loro proliferare . Ovviamente nessuno vuole lo sterminio dei cinghiali, ma il controllo è necessario. Le campagne di sterilizzazione, come quelle in Toscana e in Umbria, hanno un’importanza notevole. Così facendo si argina il problema a monte: c’è un’ampia letteratura su questo. Ma in provincia di Trieste - annota ancora l’avvocato - ciò non era stato fatto».

La sentenza di primo grado del giudice si riferisce proprio a questo aspetto: l’ente preposto non aveva attuato interventi adeguati per arginare la sovrabbondanza di cinghiali. I piani venatori invece esistevano, ma non erano stati rispettati completamente.
 

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