Trieste, la pausa pranzo in pizzeria inguaia i giudici d’Appello

Aperta un’indagine per falso ideologico in atto pubblico a carico dei togati. Nel 2015 avevano interrotto la camera di consiglio per uscire a mangiare
Tommasini-Trieste-Tribunale
Tommasini-Trieste-Tribunale

TRIESTE Una pausa pranzo in pizzeria ha messo nei guai i membri della Corte d’Appello di Trieste chiamati a pronunciarsi su un caso di omicidio. Il fatto è avvenuto il 26 giugno 2015: quel giorno anzichè rimanere chiusi a scrivere la sentenza di secondo grado del processo a carico della friulana Fiorella Fior, tenutosi davanti alla Corte d'Appello di Trieste, il presidente Pier Valerio Reinotti e i componenti della Corte avevano interrotto la camera di consiglio per la pausa pranzo, pur essendo vietato dal codice.

La donna era stata condannata in primo grado a quattro anni per eccesso colposo di legittima difesa, dopo l'uccisione del proprio compagno durante un alterco. Dalle risultanze processuali, era emerso che Fior viveva da dieci anni una relazione violenta, che l'aveva vista rivolgersi una ventina di volte all'ospedale a causa delle percosse ricevute dal proprio convivente Carlo Feltrin.

Nel corso dell'ultima lite, avvenuta il 10 febbraio 2012, la donna si era difesa, finendo tuttavia per uccidere l'uomo con un coltello da cucina. La Corte d'Appello triestina era stata chiamata a pronunciarsi tanto sul ricorso dell'accusa, che sosteneva la tesi dell'omicidio volontario e la conseguente richiesta a 16 anni di reclusione, quanto su quello della difesa, composta dagli avvocati Federica Tosel e Luigi Francesco Rossi, che chiedevano invece il pieno riconoscimento della legittima difesa con connessa assoluzione.

L’udienza era finita attorno alle 11.30 e il presidente Reinotti aveva annunciato la sentenza per le 14, dopo la camera di consiglio. Con grande sorpresa degli avvocati difensori e della loro cliente, Reinotti era però andato a pranzo nella vicina pizzeria, dove si erano recati anche i legali e l’imputata. Dopo l'incontro in pizzeria, la Corte era tornata in camera di consiglio, emettendo infine una sentenza di condanna a 9 anni e 4 mesi, che aveva dichiarato inammissibile l'appello della difesa perché consegnato in ritardo.

Ai legali non è rimasto che il ricorso in Cassazione, motivato a loro dire da una serie di errori nel testo della sentenza e dalla gita fuori porta compiuta dalla Corte. Un’interruzione della camera di consiglio mai messa a verbale e denunciata dall’imputata alla Procura di Bologna e dagli avvocati al Consiglio superiore della magistratura.

La Cassazione ha ora annullato la sentenza di appello e rinviato gli incartamenti alla Corte di Venezia: a Trieste non si deciderebbe infatti con la necessaria terzietà, mentre Bologna è impegnata a indagare sulla sosta in pizzeria dei giudici togati, con l'ipotesi di falso ideologico in atto pubblico dovuto all'omissione della pausa nel verbale.

Resta tuttavia da appurare - e lo diranno le motivazioni della decisione - se il parere della Cassazione sia giustificato dalla considerazione che l'appello della difesa non fosse stato consegnato in modo scorretto o se invece sia stato dovuto alla margherita incriminata.

Nel frattempo si torna alla condanna di primo grado, inflitta l'11 luglio 2014 dalla Corte d'Assise di Udine: 4 anni per eccesso di legittima difesa a carico della oggi 62enne Fior, tutt'ora a piede libero. L'avvocato Tosel esprime soddisfazione: «L'annullamento della sentenza è l'annullamento di una decisione femminicida, ai danni di una persona che per un decennio ha subito violenze indicibili da parte del proprio convivente».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo