Trieste, indagine del carcere sulla morte di Cesar
TRIESTE. A distanza di cinque giorni dalla morte di Andrea Cesar - l’uomo di 36 anni trovato senza vita nella sua cella al Coroneo -, i vertici del carcere triestino rompono il silenzio. E lo fanno annunciando un’indagine interna sul decesso. Indagine parallela quindi all’inchiesta aperta dal pm Federico Frezza, che ipotizza la morte per overdose da psicofarmaci.
Con la scelta di aprire un’indagine interna, spiega la direttrice della casa circondariale Silvia della Branca, entra in campo direttamente il ministero di Grazia e giustizia attraverso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria da cui dipende il carcere di Trieste.
Domani (martedì) stesso, dunque, della Branca si metterà in contatto con il pubblico ministero titolare delle indagini. Uno sviluppo che verrà seguito con la massima attenzione anche dalla direzione sanitaria dell’Asuits che, ieri, è intervenuta sul caso esprimendo «fiducia e considerazione per tutti gli operatori del Dipartimento di salute mentale», e precisando che «Andrea Cesar è stato seguito fuori e dentro il carcere per il problema di disagio psichico e anche per altre problematiche di diversa natura clinica».
Obiettivo comune dunque, in questa fase, è fare chiarezza. «Dovremo accertare - dichiara della Branca - quello che è successo nella notte tra martedì e mercoledì. Lo faremo quando sarà possibile conoscere i risultati dell’autopsia».
Risultati evidentemente ritenuti fondamentali per risalire alle cause della morte ma anche per far luce - teoricamente - su eventuali responsabilità da parte di chi doveva controllare o comunque aveva un ruolo indiretto nella gestione delle cure del paziente detenuto. Fin d’ora però, su questo punto, la posizione di della Branca è netta.
«Posso già affermare - dichiara - che quanto accaduto esclude la responsabilità di terzi (ndr, agenti o personale sanitario). Lo dico chiaro e tondo. Anche perché, se pure fosse confermata l’ipotesi del cocktail di farmaci, è chiaro che nessuno ha costretto il detenuto a prendere quel cocktail di farmaci. Quell’uomo era in cura ed erano state adottate tutte le misure e le precauzioni previste per un recluso con il suo stato di salute».
Il direttore sottolinea peraltro una situazione già evidenziata dai sindacati di polizia penitenziaria, secondo la quale da quando vige il regime delle cosiddette porte aperte nelle celle, è molto facile lo scambio dei farmaci tra i detenuti. Scambio appunto, secondo gli addetti alla vigilanza, di fatto è impossibile da controllare.
«Può capitare che qualche recluso riesca ad occultare dei farmaci eludendo la sorveglianza - prosegue della Branca -. Ho conosciuto detenuti tossicodipendenti che bagnavano con il metadone i batuffoli di cotone, per poter assumere quel farmaco quando e come volevano. Per questo motivo dovremo capire cosa è successo. Lo sapremo solo dopo aver conosciuto i risultati dell’autopsia».
Il direttore del Coroneo, infine, punta il dito contro la detenzione dei malati psichiatrici nei penitenziari. «Quanto successo - afferma - è il risultato della scelta secondo la quale i malati psichiatrici, come è accaduto in questo caso, devono andare in carcere».
Come dire che il carcere non è la struttura più indicata per curare chi ha problemi psichici come quelli di Andrea Cesar, che seguiva da anni di attacchi di panico conseguenti ad un grave stato di agorafobia. Un fatto, questo, riportato chiaramente nell’ordinanza di custodia cautelare del gip Giorgio Nicoli emessa nello scorso dicembre su richiesta del pm Massimo De Bortoli dopo l’arresto di Cesar.
«Si ritiene - aveva scritto il gip nell’ordinanza - di investire i competenti servizi psichiatrici affinché prendano contatto con Cesar ed avviino un adeguato percorso terapeutico». L’ordinanza era stata subito trasmessa al Csm della Maddalena al quale l’uomo faceva riferimento per le cure. E lì, ha chiarito ieri in una nota l’Azienda diretta da Nicola Delli Quadri, sono state adottate tutte le misure del caso.
«In primo luogo - si legge nel testo dell’Asuits - siamo tutti vicini alla famiglia, alla quale esprimiamo il senso più profondo della nostra partecipazione. Allo stesso tempo esprimiamo fiducia e considerazione per tutti gli operatori, del Dipartimento di Salute Mentale e delle altre articolazioni della nostra organizzazione sanitaria.
Il signor Cesar era noto e preso in carico dai nostri servizi; è stato seguito fuori e dentro il carcere, per il problema di disagio psichico e anche per altre problematiche di diversa natura clinica. Precisiamo poi che la persona, conosciuta e seguita da prima della detenzione, è stata valutata con tempestività subito dopo l'arresto, e, in relazione al suo stato di salute e alle complesse problematiche emerse, ha ricevuto diverse prestazioni sanitarie multidisciplinari e non solo di tipo farmacologico, integrate da proposte di percorsi terapeutici e dalla considerazione di eventuali alternative alla detenzione.
I trattamenti farmacologici, prescritti e aggiornati secondo l'evolversi delle situazioni, non erano in grado di produrre effetti dannosi e, quanto meno, letali. Al verificarsi del tragico evento i soccorsi sono stati immediati e con il massimo livello di assistenza possibile. Ora - conclude l’Azienda - attendiamo fiduciosi l'esito delle indagini».
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