Trieste, incubo droga tra i giovani: raddoppiati i casi al Sert

TRIESTE Negli occhi ci vedi la sconfitta. Non lo sballo. No, non è solo lo spinello in una serata tra amici, giusto o “sbagliato” che sia, è ben di più. È ecstasy, è eroina. Fumata e sniffata. Prima per divertimento, poi per compagno di vita. Il passo, si sa, spesso è breve.
Trieste piomba nell’incubo della droga. Giovani “bene”, di periferia, soli o troppo coccolati da genitori “friendly”, incapaci di dire no e dare regole in casa. Nel giro di un paio d’anni il numero di ragazzi intercettati dal Dipartimento delle dipendenze dell’Asuits è raddoppiato.
Dagli 84 seguiti nel 2014, i casi sono passati a 113 nel 2015. A fine 2016 erano 166. Molti appena adolescenti, o poco più, che vanno avanti a pasticche e a dosi. Alcuni in vena. Sì, a bucarsi. Quindicenni, sedicenni, diciottenni e ventenni.
È un pugno nello stomaco il report del Dipartimento che fa capo all’Asuits. Nelle tabelle si scorgono i numeri dei 2.545 alcolisti, tabagisti, tossici e malati da gioco di ogni età e provenienza affidati al Sert. Trend tutto sommato stabili tra gli adulti. Ma è alla voce “under 25” che si registra l’impennata.
Sorprendente, inattesa. Un fenomeno che darà molti argomenti a sociologi e amministratori. Cosa sta succedendo a Trieste? «Abbiamo portato a galla una realtà sommersa», dice la direttrice Roberta Balestra.
E in espansione. Se ne sono accorti qualche anno fa gli operatori nelle incursioni in locali, discoteche e scuole, o semplicemente in giro per strada. «Ci siamo resi conto che c’è un mondo a cui bisognava tendere la mano».
Nel 2012 è nato un vero e proprio servizio su misura, uno “spazio giovani”, con tanto di sede. È in Androna degli Orti, in Cittavecchia, a pochi passi dall’Arco di Riccardo. Una palazzina dell’Azienda sanitaria in cui i ragazzi vengono ascoltati, seguiti, assistiti e curati da un’équipe specializzata. Una realtà che continua ad allargarsi. Perché è la domanda che aumenta incontrollata, di pari passo alle innumerevoli forme del disagio.
Sono dunque 166, oggi, i ragazzini presi in carico: 109 sono maschi e 57 femmine. «Fragilità - osserva la direttrice - che derivano da molteplici cause. Problemi in famiglia, ma anche mamme e papà che danno troppo, perché il modello educativo è cambiato.
I genitori hanno talvolta un approccio amicale, hanno quasi paura di dare regole. C’è la tendenza a soddisfare i figli in tutto, ricoprendoli di attenzioni e rendendoli incapaci di crescere imparando ad affrontare autonomamente difficoltà e frustrazioni. Sono deboli. E la tecnologia, i social network - spiega - alla fine li isolano, non li aiutano a relazionarsi davvero».
Si rifugiano nei weekend di alcol, il “binge drinking”, bevendo a dismisura. Cinque, sei bicchieri, uno dietro l’altro, nel giro di poco tempo. Proprio per sballarsi. «E poi i cannabinoidi, ai quali i ragazzini hanno facile accesso, gli allucinogeni, gli anfetaminici di nuova generazione, le sostanze di “sintesi” e psicoattive.
È piuttosto diffusa la ketamina, ad esempio, o l’ossicodone che è un farmaco analgesico oppiaceo impiegato come droga. O, ancora, le pasticche di ecstasy oppure le dosi di eroina, davvero molto usata. La sniffano o la fumano, ma è utilizzata anche la siringa.
Anche se all’endovena si arriva però in fasi più avanzate. Spesso - riflette Balestra - dobbiamo correre dietro alle nuove mode. Il problema è il “policonsumo”, cioè il mix di sostanze scelte per ottenere un determinato effetto, per passare una serata e poi le giornate».
Il fatto è che lo spaccio è ormai dappertutto. «Vai nelle discoteche, a feste in piazza e ti accorgi come gli adolescenti si distruggono». Il mercato è cambiato. È capillare. «Sotto casa, nei locali...». Ed è pure online: i siti censiti, camuffati con altro, sono centinaia.
La droga può arrivare anche a domicilio. La dipendenza è dietro l’angolo. «Questi ragazzi vengono portati da noi dagli stessi genitori, o da amici che hanno già conosciuto il servizio, e comincia il percorso di recupero». Faticoso ma possibile. «Abbiamo intercettato una realtà sommersa - riprende Balestra - ma non sappiamo quanti vivano così».
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