Trieste, il vicario della diocesi: un diritto portare il burkini
TRIESTE. Altolà a ogni ipotesi di divieto. La richiesta al Comune arriva dalla diocesi di Trieste, proprio nelle stesse ore nelle quali il vicesindaco Pierpaolo Roberti passa dall'attacco al burkini a quello contro il velo islamico. L'intervento della Curia giunge per bocca di monsignor.
Ettore Malnati, vicario episcopale per il Laicato e la Cultura: «Non giova ad alcuno innescare questa polemica se vogliamo costruire un tessuto di integrazione e civile convivenza. Credo sia diritto di ogni persona usufruire della balneazione nel rispetto delle regole: le donne musulmane hanno tutto il diritto di farlo e, se la loro etica lo richiede e la scelta avviene senza costrizioni, hanno tutto il diritto di indossare il burkini. Non vedo dove stia il problema».
Le parole di Malnati arrivano dopo che Roberti ieri, commentando la presenza di donne in burkini alla Lanterna - e in scia al caso divieti in Francia - ha annunciato che se ne sta «discutendo all’interno della maggioranza».
Si vedrà in giunta, insomma, anche se il vicesindaco leghista lo ha già detto chiaro: «La mia idea è che in un bagno di proprietà comunale come la Lanterna ci debbano essere regolamenti che vietino l’accesso a chi vuole vestirsi in questo modo», ha aggiunto parlando di burkini che generano «inquietudine nelle signore che frequentano il Pedocin» ma anche dell’«evidente sottomissione subita da una donna che si sente obbligata a indossare una copertura totale per andare al mare: inaccettabile per la nostra società», ha aggiunto.
Secondo Malnati invece «il burkini permette ad alcune donne musulmane di andare al mare senza sentirsi a disagio, cominciando così il proprio percorso di integrazione in una società molto differente da quella di provenienza. Diverso sarebbe se ci fosse esplicita volontà di contrapposizione alle abitudini occidentali, ma non è questo il caso di Trieste: l'imam Nader Akkad ha usato anche stavolta toni rispettosi su un tema che suscita polemiche».
Il vicario ritiene che «l'integrazione di chi proviene da altre culture deve avvenire gradualmente, con quella relazionalità rispettosa fra le parti che ha sempre contraddistinto la storia della città. Quella musulmana a Trieste è una presenza rispettosa e operosa da decenni: si pensi all'importanza del premio Nobel Abdus Salam nella creazione del Centro di fisica teorica».
Il leghista Roberti allarga intanto notevolmente il perimetro della discussione sorta attorno all'uso del costume da bagno che copre interamente corpo e testa: «In nome dell'integrazione, invito Akkad a mettere da parte le polemiche nei confronti dell'amministrazione comunale e a promuovere invece l'emancipazione delle donne, anche attraverso l'abbandono del velo nei luoghi pubblici».
Il vicesindaco sottolinea «l'importanza, anche dato il contesto storico e politico, di abbandonare quei simboli che rappresentano modelli di società diametralmente opposti alla nostra. Simboli quali appunto il velo, che esprime la sopraffazione della donna nel mondo islamico e che mal si concilia con la nostra tradizione di città aperta e laica». E per Roberti la laicità deve sì riconoscere a ciascuno la libertà di praticare il proprio culto, ma non «assurgere a pretesto per ammutolire le coscienze di fronte ai soprusi e ai retaggi di società patriarcali e misogine».
Il sindaco Roberto Dipiazza preferisce non rilasciare dichiarazioni, ma non smentisce la volontà del suo vice di discutere di un'ordinanza antiburkini: si limita appunto a far sapere che la questione sarà presto affrontata dalla giunta comunale, sebbene il primo cittadino non consideri il tema fra i problemi principali della città.
La polemica non accenna tuttavia a scemare e il capogruppo di Sel in consiglio regionale, Giulio Lauri, si appella a Dipiazza: «Ha dichiarato che sarebbe stato il sindaco di tutti i cittadini e fra essi ci sono anche i nuovi triestini, comprese le donne che scelgono di usare il burkini. Sia conseguente ed eviti a Trieste, da sempre città multiculturale e gelosa della sua libertà, nuove ordinanze discriminatorie come quelle prefigurate dal vicesindaco Roberti. Dipiazza eviti di dare al mondo l'immagine di una città illiberale e non rispettosa delle scelte religiose e personali».
Il nodo della libertà di scelta è affrontato da tutt'altra angolazione anche dalla deputata e coordinatrice regionale di Forza Italia, Sandra Savino, che appoggia la decisione di alcuni sindaci francesi di vietare il burkini e invita a fare in merito «una riflessione seria anche in Italia».
Secondo Savino, «spesso le donne musulmane sono vittime delle imposizioni dei loro uomini: basta guardare le foto a Manbij, città siriana liberata da Daesh, dove le donne si alzano il velo e infrangono gli assurdi divieti imposti dall'estremismo salafita. In un paese liberale come l'Italia bisogna comprendere se è la donna che si sente libera indossando il burkini o se le viene imposto. Serve impegno maggiore in difesa delle donne».
Sulla stessa linea il consigliere regionale Roberto Novelli (Forza Italia): «C'è un'ipocrisia di fondo da parte di alcune donne della sinistra che sostengono la parità di diritti tra uomo e donna: l'idea di una società patriarcale dove la donna aveva un ruolo di sudditanza è stato faticosamente superato, ma ora spuntano i difensori del burkini. La nostra civiltà deve rifiutare con forza ogni tentativo di importare abitudini e tradizioni che mortificano la donna».
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