Trieste, il ritorno al lockdown per arginare le varianti divide gli scienziati

Il virologo D’Agaro e il rettore Di Lenarda appoggiano le misure più restrittive Il genetista Gasparini: «Non ha senso rincorrere le mutazioni e chiudere tutto» 
Foto BRUNI Trieste 06.02.2021 Bar,gente e aperitivi nel week end giallo
Foto BRUNI Trieste 06.02.2021 Bar,gente e aperitivi nel week end giallo

TRIESTE Puntare sulle misure drastiche – zone rosse o addirittura lockdown – per fermare l’epidemia resa più imprevedibile dalle varianti? Un interrogativo che suscita reazioni contrapposte a livello nazionale, non soltanto per le polemiche scaturite dalla mancata riapertura degli impianti sciistici. Ad accendere il dibattito, che coinvolge in particolare il mondo della scienza e quello della politica, sono state le dichiarazioni di Walter Ricciardi, che lunedì ha chiesto un nuovo lockdown di qualche settimana proprio per limitare la diffusione delle varianti. Ieri il consulente del ministro della Salute ha incassato l’approvazione di colleghi come il virologo Andrea Crisanti e l’infettivologo Massimo Galli. Ma qual è l’opinione prevalente nel mondo scientifico e accademico del Friuli Venezia Giulia? Ecco una carrellata che mostra pareri eterogenei, pur con una sostanziale prevalenza del “no” a zone rosse e lockdown.

Invita ad aspettare ulteriori dati oggettivi, ma sottolineando che «se saranno impressionanti, allora sarà opportuno mettere un “tappo” con misure più stringenti» il virologo Pierlanfranco D’Agaro a proposito dell’ipotesi zone rosse o lockdown. «Questo giovedì procederemo con una nuova indagine su campioni raccolti in tutta la nostra regione che allargherà il campo anche alle varianti sudafricana e brasiliana – spiega D’Agaro, direttore dell’Unità complessa di Igiene e sanità pubblica dell’Asugi, laboratorio di riferimento in ambito regionale –. I primi dati a disposizione avevano evidenziato un’incidenza del 5%, limitata alla variante inglese. Quando avremo il risultato delle analisi sui campioni raccolti giovedì sarà possibile capire che diffusione stanno avendo queste varianti e anche in base a questo ci saranno maggiori elementi per decidere provvedimenti drastici. Nell’ultima teleconferenza con l’Iss ci è stato ribadito che la situazione in Friuli Venezia Giulia appare comunque migliore rispetto a territori come Umbria, Toscana e Lazio».

Più orientato verso l’ipotesi di misure restrittive è anche il rettore dell’Università di Trieste, nonché medico, Roberto Di Lenarda: «Siamo d’accordo sul fatto che vadano garantiti indennizzi e ristori per le categorie più penalizzate, ma le mancate decisioni creano danni maggiori – osserva Di Lenarda –. Se quest’estate avessimo tenuto la barra dritta l’inverno che stiamo affrontando sarebbe stato molto più tranquillo. Qui stiamo parlando di vite umane. Non dico di chiudere dalla sera prima per il giorno dopo, ma nel momento il cui i dati epidemiologico e virologico ci danno un’indicazione seria e credibile di un rischio imminente, non decidere è molto più pericoloso per tutti. E poi, adesso, sarà fondamentale accelerare sui vaccini».

«Va monitorata sicuramente la situazione per quanto riguarda le varianti in modo da individuare per tempo cluster e focolai – rimarca Alessandro Marcello, virologo dell’Icgeb di Trieste –. Fondamentale è poi puntare sul tracciamento. Dobbiamo evitare che la situazione sfugga di mano perché a quel punto un nuovo lockdown sarebbe inevitabile».

Tra chi ritiene opportuno evitare ulteriori strette, anche in prospettiva, c’è il genetista Paolo Gasparini, docente dell’Università di Trieste e direttore del dipartimento di Genetica Medica del Burlo. «Questo virus ha già generato centinaia di mutazioni e se noi inseguiamo le varianti non ne verremo più fuori – afferma –. Credo sia sufficiente insistere nel far rispettare le regole che già ci sono su distanziamento e mascherine, piuttosto che chiudere tutto per due o tre settimane».

Secondo il direttore della Sissa, Stefano Russo, «non siamo in una situazione di picco, ma per provare a frenare l’epidemia sarebbe essenziale riparlare di tracciamento: fino a 20 giorni fa sarebbe stato impossibile perché c’erano troppi casi, ma adesso no». «Zone rosse e lockdown sono misure estreme – aggiunge –, che dobbiamo cercare di scongiurare. Come? Ad esempio prendendo spunto da Paesi come Australia, Nuova Zelanda e Singapore, dove sono riusciti a battere il virus combinando distanziamento, mascherine, tracciamento. E ora si è aggiunta l’ arma in più del vaccino. E anche noi, che qui alla Sissa siamo in 600, possiamo dire di essere riusciti a gestire bene la situazione, limitando al massimo gli assembramenti e le presenze in contemporanea. Così i nostri ricercatori hanno tutte le condizioni per poter continuare a lavorare».

Per Mauro Giacca, docente di scienze cardiovascolari al King’s College di Londra e all’Università di Trieste, nonché ex direttore dell’Icgeb, la strada da seguire, di fatto, resta soltanto una: «Responsabilizzare le persone, perché è del tutto inutile parlare di varianti e lockdown quando la gente, poi, non rispetta a il distanziamento, si assembra nei bar come abbiamo visto succedere anche a Trieste, o tiene la mascherina sotto il naso. E poi, ovviamente, serve il massimo impegno sui vaccini. In Inghilterra sono già stati vaccinati 15 milioni di abitanti. In Italia siamo ancora indietro». —


 

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