Trieste, il Ramadan, diventa occasione per una festa comune
«Incontrarsi, stare assieme è importante, così molte sorelle preparano i pasti e poi, dopo il tramonto, li condividiamo qui nel nostro salone» spiega Semso Osmanovic, “anima” della Comunità bosniaca di Trieste accogliendo gli ospiti al Centro islamico di via Pascoli. «Veramente stasera il cibo l’hanno preparato i fratelli» lo corregge bonariamente Salih Mesbah, algerino che vive a Milano. L’ingegnere civile algerino è stato fino a poco tempo fa l’imam, cioè il religioso, della Comunità islamica triestina ma si è dovuto trasferire per lavoro: è venuto a fare visita ai vecchi amici.
La sua correzione viene porta con molta gentilezza e un sorriso sulle labbra, anche perché siamo entrati da un paio di giorni nel Ramadan, il mese sacro musulmano e il pasto di cui si parla è l’iftar, quello che dopo il tramonto rompe il digiuno. Nello speciale periodo dell’anno i musulmani devoti oltre ad astenersi dal bere e mangiare durante le ore diurne, evitano pettegolezzi, menzogne e in genere ogni atto peccaminoso. Tradizionalmente il digiuno viene spezzato con alcuni datteri e del latte ma agli ospiti ritardatari vengono offerti dei dolcetti e del tè freddo. «Certo attenersi ai nostri precetti religiosi - spiega Mesbah - è forse un po’ più difficile che non in alcuni Paesi islamici ma non si pensi che in tutte le nazioni musulmane durante il Ramadan i ritmi di vita cambiano. Certo i primi giorni sono i più duri, poi il corpo di adegua». D’altronde il digiuno è proposto e accettato, come del resto in altre religioni specie in passato quando non erano “secolarizzate”, come atto personale di adorazione a Dio. Durante il quale i musulmani cercano d’innalzare il proprio livello di consapevolezza e fede verso Allah.
L’aspetto comunitario del digiuno e delle relative preghiere, oltre che essere auspicato dal Corano, emerge spontaneo tra i circa mille, dei tremila osservanti musulmani di Trieste e provincia, che frequentano il Centro. In questo periodo ogni sera più di un centinaio di persone si strizzano nei modesti locali di via Pascoli.
Chi prepara a casa qualcosa da offrire agli altri, chi lo confeziona per sè e gli altri sul posto, chi partecipa alle collette per comprare gli alimenti. Il direttivo della Comunità ha scelto un comitato di sei giovani per gestire il Ramadan: acquistare in massa i datteri e altri prodotti halal con lo sconto in negozi per lo più turchi, organizzare l’elemosina, (altro precetto islamico), adempiere a varie piccole incombenze. «Io personalmente - racconta Saleh Igbarià, presidente della Comunità - risento della mancanza del caffé ma lo spirito del Ramadan è proprio questo: provare cosa provano i meno fortunati di noi, per migliorarsi. Lavoro nel settore turistico e dopo qualche giorno mi sento paradossalmente più forte che nel resto dell’anno, poiché sono più concentrato».
Ma i musulmani di Trieste si confrontano anche con aspetti più prosaici, come la mancanza di bus alle tre di notte, quando prima dell’alba si ritrovano per la “colazione”: «Mica possiamo chiedere che li organizzino per noi!». Qualcuno vuole aggiungere: «E questi locali ormai non bastano, ci vorrebbe una moschea».
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