Trieste, il progetto di Sant’Antonio subito nella bufera, critici anche gli esperti

TRIESTE A Sant’Antonio viene chiesto un supplemento di miracolo: fare in modo che la riqualificazione della piazza, a lui dedicata, non diventi l’ennesima ragione divisiva nel pubblico dibattito triestino. Non sarà semplice.
Antefatto: il Comune ha affidato a Maurizio Bradaschia, architetto e docente universitario, l’incarico di redigere un progetto per rimettere in sesto piazza Sant’Antonio. Con una premessa importante: il sindaco Dipiazza non vuole rivangare il concorso di idee risalente all’era cosoliniana e non vuole dissotterrare il Canale, che venne tombato negli anni Trenta.
Sul rendering pubblicato nell’edizione del 27 novembre si è scatenata una serrata polemica, anche se era sottolineato come quella rappresentazione non fosse il progetto prescelto. Tema su cui torna con una nota lo stesso Bradaschia, che specifica come siano «in fase di elaborazione 7 ipotesi», che saranno «da verificare e condividere», che «saranno oggetto di attente valutazioni che terranno conto del rapporto costi/benefici, della storia del luogo e della città».
Sull’approccio procedurale e sull’indirizzo progettuale i pareri dei colleghi sono differenti. Thomas Bisiani e Andrea Benedetti, rispettivamente presidente e consigliere dell’ordine, ritengono che, esaurita la fase della fattibilità progettuale, la cosa più consigliabile sarebbe proseguire con un concorso di progettazione. «Penso a due momenti - precisa Bisiani - uno aperto a tutti, l’altro ristretto ai cinque migliori elaborati, valutati da una giuria dove prevalgano esperti esterni al Comune». «In operazioni delicate come quella inerente al riassetto di Sant’Antonio - prosegue - è consigliabile il più ampio coinvolgimento possibile, anche a livello di opinione pubblica».
Posizione diversa quella di Pietro Cordara, esperto di paesaggistica e di ambiente, secondo il quale «in Italia ci sono molti concorsi e poche opere», ragion per cui un affidamento diretto può essere più funzionale.
Posizioni articolate anche sul merito progettuale: acqua sì o no? Canale fino al sagrato della Chiesa o no? A Cordara l’idea dell’acqua non spiace: «Costerebbe, è vero, ma sarebbe un interessante intervento di archeologia urbana, quasi come scavare nella storia cittadina, riesumando i detriti portati dalla demolizione di Cittavecchia». «In alternativa penserei a evidenziare la prospettiva del sito, inserendo due fila di alberi, creando una zona pedonale e protetta, senza quel delirio di di baracchette e di furgoni».
Bisiani e Benedetti sono invece dell’avviso che della riapertura del Canale si possa prescindere. Il presidente manterrebbe però una connessione con il tema idrico, perchè la grande facciata neoclassica di Sant’Antonio si specchiava nell’acqua. Benedetti, che insegna restauro allo Iuav veneziano, ritiene che il ritorno all’acqua sarebbe «una forzatura, uno spreco di risorse, un problema manutentivo, un inutile lusso». Dice «no cartolina», perchè preferisce una superficie «da utilizzare e da vivere», che sia «in sintonia con l’esistente». Gli piace che, in coerenza con quanto fatto a Ponterosso e sulle rive del Canale, si prosegua con masegni e arenaria.
A favore della riapertura del Canale e dell’esperienza concorsuale voluta da Cosolini è Marco Moro, presidente del comitato Ponterosso, che lancia la proposta di un referendum per sondare le posizioni dei cittadini. —
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