Trieste, il procuratore Grohmann: «Sulla tratta dei clandestini le mire del crimine organizzato»
TRIESTE «A Trieste negli ultimi anni l’impoverimento e il disagio sono aumentati e ciò ha rappresentato un terreno fertile per la criminalità e i reati in genere. L’emergenza Covid di questi mesi ha peggiorato la situazione».
Dario Grohmann, procuratore generale della Corte d’Appello di Trieste, famiglia di origini austriache ma nato a Napoli, fa il magistrato nel capoluogo del Friuli Venezia Giulia da quarant’anni. «Ne ho viste di cose qua...», riflette dalla sua scrivania al primo piano del Tribunale, quasi deserto in pieno agosto.
In questi giorni la città è nuovamente alle prese con il rischio contagi. E con i flussi migratori: altro fenomeno che attira la criminalità, come confermano i numerosi arresti di passeur senza scrupoli che tentano di oltrepassare il confine con furgoni pieni di profughi stipati.
Il procuratore Generale tira le somme di questa prima parte dell’anno, mesi in cui indagini e processi non sono certo mancati: «Abbiamo un ottimo livello investigativo e le forze di polizia riescono a coprire bene il territorio. Ma il palazzo di giustizia, con il personale ridotto all’osso, è quasi a un livello di inefficienza».
Procuratore, se lei dovesse preparare oggi il suo tradizionale discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario, su cosa si soffermerebbe?
«Ora la pandemia è il problema attuale più grave. Sta pesando sull’impoverimento e il disagio della città, già acuiti a partire dalla crisi economica degli anni passati. Fattori che hanno inciso sul tasso dei reati. Ma parliamo di microcriminalità. In ogni caso l’impoverimento di tante attività economiche è uno dei fattori di rischio per l’infiltrazione della criminalità organizzata».
Ciò si sta verificando?
«Da quelle che sono le mie informazioni posso dire che non c’è un incremento del fenomeno. Il pericolo però esiste. A Trieste e in regione risiedono personaggi legati alla criminalità organizzata: teste di ponte, individui che ricevono denaro di provenienza illecita. Ma non c’è un radicamento: la criminalità organizzata sul nostro territorio non è strutturata. Potrebbe però avere mire sul traffico di migranti».
A proposito: in questo periodo gli arresti di passeur sono all’ordine del giorno.
«L’aumento dei rintracci è dovuto alla situazione geopolitica internazionale, ma anche al periodo estivo che facilita gli spostamenti via terra dei migranti. Il numero di passeur fermati è salito perché sono cresciuti i controlli ai confini. C’è anche l’Esercito. Sono sicuramente attive delle organizzazioni criminali che gestiscono gli arrivi, ma c’è anche una forte attività da parte di “privati” che, conoscendo il territorio, si prestano a fare da autisti. Una volta era più complicato: i passeur dovevano cercare i clandestini, ora basta andare al di là della frontiera croata per trovare folle di persone e chi è disponibile a pagare per farsi portare. La pressione ai confini europei è fortissima. E le indagini sono complicate perché fuori dall’area Schengen la collaborazione non è sempre puntuale. Inoltre a fronte di ogni indagine che si comincia, il giorno dopo ci sono già nuovi arrivi e arresti di passeur. Va detto che la risposta istituzionale a Trieste è molto forte, infatti i trafficanti si sono subito trasferiti tra Gorizia e Udine, ma non vanno oltre per non impattare sui confini austriaci che sono molto ben vigilati».
In questa prima parte dell’anno inquirenti e forze di polizia hanno portato a termine importanti indagini sul traffico di droga, dimostrando ancora che Trieste è sia zona di transito che piazza per lo spaccio.
«Sono molti anni che a Trieste lo spaccio di stupefacenti è ben presente nel tessuto sociale. Questa è una delle nostre grandi preoccupazioni. Ma bisogna tener conto del fatto che siamo una città di poco più di 200 mila abitanti, quindi il mercato locale non è così ampio da poter consentire a un’organizzazione grossa e strutturata di mettere radici. Per i grandi traffici la città resta un terreno di passaggio».
Ritiene che la città sia sufficientemente attrezzata in termini di capacità investigativa?
«Sì, di primissimo livello. E il territorio è anche molto ben presidiato, nonostante la carenza di personale e risorse. Una carenza, quella del personale, che invece incide in modo grave nel palazzo di giustizia».
In generale Trieste resta una città con un basso livello di criminalità? Dunque “sicura”?
«Se paragonata al resto d’Italia sì. Rapine ed estorsioni, ad esempio, sono rari. A Trieste il senso civico è elevato, si può tranquillamente girare di sera e non ci sono quartieri pericolosi o addirittura interdetti, come altrove. Nonostante ciò la vigilanza sul territorio, da parte di tutte le forze dell’ordine e dell’Esercito, è di molto aumentata negli ultimi anni. A Trieste noto invece una certa aggressività, arroganza e maleducazione giovanile. E poco rispetto per gli anziani: sarà che mi sto facendo anziano pure io e me ne accorgo di più. I giovani sono sempre con il cellulare in mano, come se il mondo fosse tutto lì. Che poi, tra l’altro, la distrazione da smartphone, specialmente tra i giovani, è ormai la causa principale dei più gravi incidenti stradali. A questo proposito ho diffuso una direttiva, concordata con i procuratori, che prevede il sequestro dei cellulari in caso di gravi incidenti, in modo da verificare conversazioni, messaggi e quant’altro».
L’immigrazione ha comportato un incremento del tasso di criminalità?
«No. I reati commessi dai migranti, tolto quello della clandestinità, sono pochi».
A Trieste i procedimenti per violenze in ambito familiare e di coppia sono molto diffusi: maltrattamenti e stalking, ad esempio. È una nostra peculiarità?
«Il fenomeno è diffuso dappertutto. Ma una volta questi reati non venivano denunciati dalle vittime, cioè le donne soprattutto, perché erano considerati disdicevoli per una famiglia. Le donne subivano e basta. Adesso la sensibilità è cambiata». —
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