Trieste, il prete sorpreso dai vigili «Ho sbagliato ma sto male»

Il sacerdote sessantenne pedinato e fermato è stato sospeso e non può dire messa «Non cercavo piacere ma sollievo dal dolore. Sono depresso. Chiedo perdono»
La casetta coi bagni al Giardino pubblico
La casetta coi bagni al Giardino pubblico

«Andavo in quei bagni per sfogo. Sono depresso, mi sento solo. Capisce?». Entriamo in una sala fresca al primo piano della canonica. Un tavolo, due sedie, immagini sacre sulle pareti bianche. Ha una camicia estiva aperta al collo, pantaloncini sportivi, ciabatte ai piedi. Più che un prete, si direbbe un turista in ferie. Capelli corti, viso magro. È sulla sessantina, ma dimostra meno. Stava riposando in camera, come fa talvolta dopo il pranzo. Ha lo sguardo disteso, occhi sottili che conoscono il dolore altrui perché conoscono il proprio. È il sacerdote sorpreso dalla Polizia locale nel wc del giardino pubblico di via Giulia. È uno di quei cinquantuno identificati in questa incredibile storia di mezza estate. L’hanno visto toccarsi insieme a un altro uomo nelle scorse settimane, proprio lì, nei gabinetti davanti ai giochi dei bimbi, dove passano di continuo mamme e papà. «Era uno degli abituali», stando alle ricostruzioni gli investigatori. Due agenti in borghese l’hanno prima pedinato e poi fermato a pochi passi dalla comunità in cui abita.

«Se mi avessero bloccato subito nei bagni mi sarei reso conto di quello che stavo facendo. Se mi avessero fatto capire che è grave fare queste cose in un posto pubblico mi avrebbero aiutato. Alla Polizia ho detto: “Mi avreste riportato alla realtà”». L’uomo seduto di fronte, prima che un sacerdote, è un uomo che sta male. Da tanto: «Dal 2003 soffro di depressione». Vive in una dimensione psicologica estremamente fragile e proprio per questo il giornale, che lo ha rintracciato, sceglie di non pubblicare né il nome, né la congregazione di religiosi alla quale appartiene, né la parrocchia. Il superiore ha già preso provvedimenti: è stato sospeso dall’esercizio pastorale, non può dire messa né confessare. Accetta di parlare per far comprendere cosa l’ha portato a quegli incontri omosessuali. Lo fa con ferma dignità e uno schematismo stupefacente. Come raccontasse di un altro, non di lui. Come se «quella cosa» fosse in qualche modo separata. «Non ero io – dice a un certo punto – anzi ero io, ma c’è qualcos’altro che mi muoveva».

È consapevole, a mente fredda, di ciò che ha fatto: atti osceni in luogo pubblico frequentato da minori, un’aggravante questa che potrebbe costargli teoricamente, codice alla mano, fino a quattro anni e mezzo di reclusione. «È un comportamento – dice – che io per primo non approvo. La cosa che mi pesa di più è aver offeso la dignità di un’altra persona», afferma riferendosi ai partner con cui ha consumato l’atto sessuale. «La mia è una debolezza, ho problemi psicologici... Sto facendo delle cure con antidepressivi». Il sacerdote si blocca per un momento, per rivedersi nella mente quegli incontri nascosti. Lui, stimato e insospettabile prete di parrocchia. «Non andavo lì apposta – insiste – ci passavo e mi fermavo nel bagno. E talvolta succedeva. Ma non credo che i miei atti abbiano davvero un contenuto sessuale, intendo dire che non erano proprio la ricerca del piacere, anche perché non penso di essere omosessuale. I miei atti erano piuttosto motivati dal desiderio di liberarmi dal dolore e da un peso che mi porto dentro. Un modo per capire chi sono io. Ripensandoci – ripete – è come se quei momenti li vivessi fuori da me stesso. Prevaleva la forza depressiva, una forza che non so descrivere bene. Bisogna provarla per capirla. Sentivo una cosa che ti tira giù, che ti esaspera. Non credevo di fare male agli altri e non mi rendevo conto che era un luogo pubblico».

Ogni tanto la voce trema, lievemente. Qualche pausa per cercare le parole giuste e poi riprendere: «Sono un uomo, ho sbagliato. Domando comprensione e perdono, come ci ricorda il Papa ci stiamo approssimando all’anno della misericordia».

L’impressione è di un uomo tremendamente solo con le sue debolezze e il macigno della depressione. «Se ne ho mai parlato con i miei superiori e la mia comunità? Forse – spiega il sacerdote – non sono stato capace di farmi aiutare. Ma ci fosse stato qualcuno a rimproverarmi, dicendomi “Ma che fai?”, me ne sarei reso conto. Sarebbe bastato poco per riportarmi alla realtà. Io cerco di fuggire dal dolore che provo con quegli incontri, ma se trovo altro che mi può portare fuori dal momento oppressivo, lo seguo più volentieri. Qualcuno che mi tenga compagnia, che mi parli, che stia con me».

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