Trieste, il neo sindaco “abolisce” gli assessori consiglieri

TRIESTE. Dalla “ciucca” post-ballottaggio della domenica notte alla meditazione dei primi due giorni da sindaco. Sussulto anti-mendicanti a parte, le 48 ore di prologo del suo terzo mandato Roberto Dipiazza le ha spese per un esercizio di raccoglimento, di forze e idee.
Niente convocazioni dunque, non ancora almeno, delle diplomazie della coalizione chiamate a trattare come spartirsi i dieci assessorati. Solo una direttiva d’imperio, per intanto, non dissimile dal metodo Cosolini, che impone a chi verrà nominato in giunta a dimettersi, qualora ne sia stato eletto, dal Consiglio comunale.
I cosiddetti vertici di maggioranza da cui uscirà la neogiunta (che per una serie di appetiti sia partitici che personali si annunciano meno pacifici del previsto) sono attesi nella seconda metà di questa settimana, col momento-clou dato non prima di sabato e le ultime riunioni di assestamento immaginate all’inizio della prossima, in modo che l’obiettivo della presentazione della squadra entro venerdì primo luglio, come vuole il capo, possa essere rispettato.
Tra lunedì, il giorno della ripresa della fascia tricolore, e ieri, quello del commiato dal Consiglio regionale, Dipiazza si è dato più che altro da fare su e giù per il Municipio per riaddomesticare il cervello alla macchina comunale, per capirne organigrammi dei manager e margini di spesa nell’anno corrente e per riattaccarne i crocifissi alle pareti degli uffici del Gabinetto del sindaco. Un segnale di discontinuità macroscopico.
Tornando però ai poteri temporali e non spirituali, il rebus giunta non sarà magari impossibile come altre volte ma neanche così banale, così liscio come più di qualcuno poteva presumere alle idi di marzo, dopo che da Arcore era arrivata la benedizione al Dipiazza-ter, ai tempi in cui Forza Italia pareva in caduta libera e la Lega, financo a Trieste, dove più di ogni altro partito s’era spesa per tenere insieme il centrodestra, sentiva un odore di primato di coalizione mai respirato prima, Lista Dipiazza permettendo.
Il responso delle urne ha detto che Fi qui ha quasi cinque punti più della Lega, e la Lista Dipiazza due scarsi. Ingoiate, a quanto si dice, le voglie di rimettere in discussione il ticket di ferro Dipiazza-Roberti e di reclamare il vicesindaco promesso al Carroccio, i berluscones al tavolo delle trattative sulla neogiunta (cui parteciperanno Sandra Savino e lo stesso Roberti su mandato di Giulio Camber e Max Fedriga, oltre a Dipiazza con l’uomo ombra Giorgio Rossi e a uno tra Claudio Giacomelli e Fabio Scoccimarro per i meloniani) potrebbero a questo punto chiedere cinque e non più quattro assessori.
Indiscutibile il posticino, uno, a Fdi, a quel punto una tra Lega e Lista Dipiazza dovrebbe cedere un assessorato rispetto a quanto pattuito in origine, ovvero tre deleghe ai padani e due ai dipiazzisti. Ma anche se Fi desse fuoco al manuale Cencelli e s’accontentasse di quattro, la patata non sbollirebbe automaticamente: la Lista Dipiazza potrebbe pretendere di averne tre chiedendo proprio alla Lega un passo indietro.
«Fin qui abbiamo lavorato molto bene insieme, anche stavolta sapremo dimostrarci una squadra vincente, non ne faremo una questione di seggiole», taglia corto da Fi Piero Camber, per cui i rumors profilano un ruolo extragiunta (da capogruppo forse) al pari di Manuela Declich, la quale pare tenere parecchio allo scranno del Consiglio conquistato a suon di preferenze. Ma non è così per altri supervotati azzurri.
A Michele Lobianco, Everest Bertoli e Lorenzo Giorgi gorgoglia un po’ lo stomaco all’idea di potersi mettere in gioco come assessori. Ma devono fare i conti con i posti a disposizione di Fi e alle quote rosa. Ecco perché, in queste ore, si sta facendo largo l’ipotesi che la presidenza del Consiglio possa costituire uno sfiatatoio per stemperare la concentrazione di aspiranti assessori azzurri. Pare così tramontata l’opzione grillina per la presidenza dell’aula.
A smontarla è Bruno Marini, lo stesso che l’aveva montata: «A Roma come a Torino i voti del centrodestra hanno fatto trionfare il M5S, qui al ballottaggio non mi pare che i voti del M5S siano passati in modo significativo al candidato del centrodestra». «L’equidistanza che in questa regione i cinquestelle continuano a tenere, non riconoscendo nel Pd il vero nemico comune, fa perdere il senso politico alla mia proposta, che può dirsi superata», sibila Marini.
Lui, a farsi fare assessore da Dipiazza, sembra non pensarci. A quel punto, ironia della politica e dei suoi incroci, dovrebbe lasciare il Consiglio regionale, dove scorre meno passione amministrativa ma anche più denaro, allo stesso Bertoli...
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