Trieste, il mistero sotterraneo della fontana del Delfino

La sorgente di via Crispi è alimentata da una segreta galleria autonoma. “Speleo-scoop” dell’Adriatica

TRIESTE Da oltre due secoli se ne stanno lì, pietrose vestigia della Trieste asburgica, ma prima ancora della medievale Tergeste, e in seguito opulenti testimonial dell'anima Liberty cittadina.

Come accade con le cose che ci passano quotidianamente sotto il naso, non ci facciamo particolarmente caso, l'occhio distratto non le nota quasi più. Sono le numerose e storicamente variegate fontane e fontanelle di Trieste, ingegnosi manufatti di pietra e marmo realizzati per trasportare l’acqua nei rioni cittadini.

Talune imponenti, per veicolare un'immagine di prosperità commerciale, altre cariche di simbolismi e riferimenti allegorici, altre ancora invece senza fronzoli, quasi sottotono nella loro pragmatica funzionalità di dispensatrici di acqua.

E se per le fontane firmate dagli archistar dell'epoca è possibile risalire al processo di costruzione, la storia delle fontane “low profile” è avvolta perlopiù dal mistero, poiché la mancanza di fonti cartacee negli archivi rende la loro genesi difficile da ripercorrere.

Nella parte alta di via Crispi, caratterizzata dalla presenza di massicce mura di contenimento, fa bella mostra di sé la cosiddetta fontana del Delfino. Un lastrone di pesante pietra con un sinuoso delfino dalla cui bocca zampillava il getto d’acqua.

 

 

Presumibilmente l’opera è stata realizzata da un abile scalpellino a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, ed era quindi, come si pensava, una delle tante fontanelle che facevano parte del settecentesco acquedotto Teresiano, la cui rete idrica era distribuita lungo un sistema di gallerie di captazione, con cunicoli strategici di trasporto proprio lungo la stessa via Crispi.



Queste piccole via dell’acqua sotterranee erano accessibili per ispezioni e manutenzioni attraverso una sorta di finestrelle, i cosiddetti “visitatori”, vale a dire dei varchi numerati che facevano capo all’acquedotto nel nome dell'imperatrice di casa d'Austria.

Anche la fontana del Delfino era munita della sua finestrella regolamentare, via d'accesso alla “wassergallerie” murata non si sa quanto tempo fa. Così come non è noto chi, pressappoco due anni fa, quel varco lo ha riaperto, togliendo alcuni mattoni e creando il pertugio da cui sono entrati gli speleologi della Società Adriatica di Speleologia, che non si sono lasciati sfuggire la ghiotta esplorazione metropolitana.

Le fontane di Teti e Venere riprendono a zampillare
Foto BRUNI 05.09.16 P.zza Unità:Ripartono le fontane della Regione-Marini,Serracchiani e Peroni

Scoprendo contro ogni previsione che il cunicolo semi allagato dietro alla bocca dell'antica fontanella non fa parte della rete dell'acquedotto Teresiano, ma è una galleria a sé stante lunga pressappoco trentacinque metri, che si sviluppa perpendicolarmente alla strada.

L'inaspettato ritrovamento è il risultato di un’ispezione parziale avvenuta un po’ di tempo fa, cui è seguita la visita partecipata degli speleologi dell'Adriatica assieme al dipartimento di Matematica e Geoscienze dell'Università di Trieste.

«In verità già due anni fa, con le prime indagini, ci erano sorti dei dubbi sulla natura della galleria - , chiarisce Cristian Duro dell'Adriatica -. Il “visitatore” era alquanto diverso dagli altri e, quindi, abbiamo deciso di approfondire le ricerche in modo più strutturato per mappare quella che era sempre stata considerata parte della famiglia dell'acquedotto Teresiano», aggiunge il rappresentante dell’associazione speleologica.

Più facile a dirsi che a farsi, a ben guardare, poiché il team composto da Massimiliano Blocher, Giorgia De Colle, Andrea Valenti, Marco Restaino, Max Clementini, Paolo Guglia, Pierpaolo Barduzzi e Valeria Iaccarini, dopo una decina di metri lungo il cunicolo parzialmente allagato, si è trovato la strada sbarrata da un restringimento. «Dopo alcuni giorni siamo tornati - spiega Marco Restaino -, riuscendo a superarlo, effettuando e documentando così il rilievo sotterraneo».

Lo “speleo-scoop” di questa torrida estate, come anticipa Paolo Guglia, è che la fontana del Delfino era a tutti gli effetti un’opera idrica autonoma dotata di un proprio sistema di alimentazione.

Confermato peraltro dal ritrovamento di una struttura metallica - una specie di imbuto in lamiera con una tubazione per raccogliere l'acqua - che terminava alla bocca del delfino, ideato insomma ad hoc proprio per la fontana di via Crispi.

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