Trieste, il giudice ferma la musica all’Hydro City
TRIESTE Troppa movida, soprattutto per una famiglia che ci abita giusto sopra, e che ha denunciato di essere costretta a cullare un bimbo di sei mesi con la “techno” che arriva in camera mischiandosi alle note del carillon. E così il giudice ha detto stop. Tanto alla musica quanto alle “ciacole” degli avventori. Da qualche giorno in qua, all’Hydro City di via Malcanton, la festa finisce alle dieci di sera su disposizione del Tribunale civile. Andrà avanti così quanto meno fino al prossimo venerdì, giorno in cui è in programma una nuova udienza davanti al giudice Paolo Vascotto, lo stesso che ha deciso in via d’urgenza di ordinare alla Jecks Sas, la società che gestisce proprio l’Hydro City, la cessazione immediata dalle 22 alle 7 delle cosiddette emissioni di rumore, sia di quelle musicali fuori e dentro il locale sia dei clienti che rimangono nell’area di pertinenza del locale.
Il decreto di Foro Ulpiano è finito non solo negli studi legali delle parti in causa - dell’avvocato Piero Santi per la Jecks Sas e dell’avvocato Alberto Pasino per la famiglia che ha dichiarato guerra per via giudiziaria alla presunta troppa movida dell’Hydro City - ma anche al Comando della polizia locale affinché gli agenti “urbani” vigilino sul rispetto di tale ordine da parte dei responsabili del locale pubblico.
Dopo il Dhome e altri casi tipicamente estivi che si concentrano nell’ex Ghetto e i suoi dintorni, siamo dunque al primo atto di una nuova battaglia tra diritto al divertimento e diritto al riposo che investe ora l’Hydro City. Una giovane famigliola che si è trasferita a maggio in un appartamento al quarto piano dello stabile che sta sopra il locale è riuscita là dove altri in zona hanno fallito: strappare per l’appunto un decreto d’urgenza che stoppasse in un colpo solo musica e schiamazzi, ancorché in via provvisoria, ovvero fino all’udienza del 5 agosto in cui si entrerà nel merito della materia e sarà discusso l’appello della Jecks. Il ricorso originario di tale famiglia si presenta in effetti agguerrito e circostanziato, e cita ad esempio non solo l’impossibilità di prendere sonno a un adulto o di dare pace a un neonato, a causa della musica house elettronica a cento battiti al minuto sparata anche fino all’una di notte, ma persino la difficoltà a leggere un libro o a guardare ed ascoltare la televisione. Non solo. Si fa riferimento, ancora, a un’asserita indifferenza dei gestori del locale nonostante i solleciti ad abbassare il volume e a chiedere agli avventori di parlare più piano, si passa poi alle rilevazioni sonore nelle camere dell’appartamento, con tanto di perizie acustiche, e si finisce addirittura con dei certificati medici allegati: da quello di un comprovato stato d’ansia della mamma al referto che evoca possibili danni psicofisici per il bimbo a causa di quei rumori provenienti da giù che gli starebbero pregiudicando un regolare riposo. Prossima udienza, come detto, venerdì. Fino ad allora l’interruttore degli altoparlanti, come pure quello delle corde vocali della gente che frequenta l’Hydro City, dev’essere messo sul lato “off”.
«Stiamo lavorando alla nostra comparsa di costituzione - spiega il legale Piero Santi che ha assunto la difesa della società che gestisce l’Hydro City -, il provvedimento è stato assunto in via cautelare in base ad una perizia di parte che ci riservavamo di valutare». In questo caso, a differenza di altre situazioni analoghe, Santi fa notare che non ci sono misurazioni affidate ad un consulente del giudice, ad un ente terzo ma solo quelle del perito incaricato da chi sta accusando Hydro City. «C’è da segnare anche il fatto - evidenzia il legale - che la controparte ha acquistato quell’appartamento a poca distanza dal locale non molti mesi fa, quando invece la vocazione di quella zona ad ospitare esercizi pubblici è ormai consolidata da anni».
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