Trieste, il catturato per sbaglio: «Ho avuto paura»
TRIESTE Il referto è nero su bianco. Certifica le lesioni subite da Gianluca Breggion, 34 anni, titolare del bar “Al cappellaio matto” di via Trenta Ottobre. È l’uomo che è stato arrestato per sbaglio dagli agenti della polizia locale durante un blitz - da telefilm - avvenuto il 25 gennaio dopo mezzogiorno in via Carducci sotto gli occhi di decine di persone incuriosite.
Il paziente, scrive il medico che l’ha visitato, Domenico Montalbano, il cui cognome evoca l’aurea di fiction dell’intera vicenda che in realtà sembra tratta da un film di Luis De Funés o da Scherzi a parte, «riferisce di essere stato fermato da agenti della polizia municipale in borghese (sic!!!) che lo avevano strattonato al braccio sinistro». Il medico continua: «A livello del terzo medio del braccio sinistro si repertano arrossamenti lineari compatibili con l’impronta di alcune dita». Prognosi: cinque giorni.
Questa mattina l’avvocato Cristiano Gobbi, il legale al quale si è affidata la vittima dell’incredibile vicenda, depositerà la querela in procura. Ipotesi di reato: sequestro di persona (anche se per una decina di minuti), lesioni, violenza privata e arresto illegale. «Quando mi hanno rilasciato - scrive Breggion - avevo un forte dolore alla spalla. Sono andato, dopo qualche ora, all’ospedale Maggiore. L’ecchimosi derivante dalla violenza con cui venivo arrestato è rimasta ben visibile per una settimana». Non basta. «Ho avuto tanta paura. Ho pensato a mio figlio nato cinque giorni prima. Ho pensato alla perquisizione nella casa dove c’era il bambino» continua Breggion. E ancora: «Non volevo salire nell’auto della polizia locale (una Punto nera che aspettava con il motore acceso alla vicina fermata del bus, ndr). Ho cercato di resistere. Ma gli agenti mi hanno intimato di seguirli. Ho cercato di telefonare per chiedere aiuto, per chiamare mia moglie e anche, come mio diritto, un avvocato. Ma un poliziotto mi ha tolto di mano il cellulare. Mi ha detto che non potevo. È stato un incubo».
Il racconto prosegue. «Hanno telefonato al loro comandante mentre mi stavano portando via. Poi, quando è arrivato, si è scusato tantissimo» afferma Breggion. E precisa: «I due agenti, quando mi hanno fermato, non mi hanno chiesto le generalità. Mi hanno riconosciuto forse solo perché assomiglio a qualcun altro che stavano cercando. È andata proprio così. Potevano almeno chiedere il mio nome. Poi mi hanno spinto violentemente nell’auto». Nella querela, per la precisione, il titolare del bar scrive che «l’uomo si è identificato come agente della polizia municipale, mostrandomi un distintivo, ma senza preoccuparsi di chiedere le mie generalità. La stessa cosa ha fatto l’altro agente. La strada era frequentatissima e la gente si era fermata a guardare il mio arresto».
Dopo una decina di minuti il gran finale: «La vettura percorreva via Battisti. Dopo alcuni istanti mi sono accorto che la direzione (verso l’abitazione dove avevano annunciato una perquisizione, ndr) non era quella corretta. Ho comunicato lo sbaglio al loro comandante che incredulo mi ha risposto: “Ma come ti chiami?” e io di rimando “Gianluca Breggion”. Al che lui ha risposto: “Ma ecco perché mi sembrava troppo magro”. E poi si è rivolto ai colleghi: “Ma non gli avete chiesto chi era prima”?».
Il comandante della polizia locale Sergio Abbate in una nota inviata nel tardo pomeriggio, annunciando una querela al Piccolo, smentisce la ricostruzione. «Gli agenti si sono correttamente qualificati al signor Breggion e gli hanno chiaramente chiesto se si trattava della persona che stavano cercando ricevendo una risposta affermativa». Quanto alle lesioni il comandante della polizia locale precisa che «non c’è stato alcun contatto fisico, nè in questa fase e nemmeno quando, su invito degli agenti, si è accomodato nell’auto di servizio. Specifico che non è stato arrestato anche perché lo scopo dell’intervento non era quello di un arresto. Dopo pochi metri, chiarito l’equivoco (originato dalla risposta affermativa del signor Breggion), gli agenti lo hanno congedato con tante scuse». Almeno questo particolare delle scuse coincide.
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