Trieste, il caso Almirante manda in pezzi la giunta Dipiazza
«Non ho più nulla da dire al riguardo. Se non che non ho agito a titolo personale ma in rappresentanza della giunta. E su richiesta del sindaco». L’assessore comunale Angela Brandi dice poche parole ma pesanti sulla questione di “via Giorgio Almirante”. È il nuovo capitolo della polemica, mentre anche il capogruppo di Fdi Claudio Giacomelli si mette al fianco di Brandi e il tema continua ad attrarre gli strali dell’opposizione, inclusa la presidente Fvg Debora Serracchiani.
Brandi sconfessa, in sostanza, quanto dichiarato dal sindaco giovedì, il giorno dopo l’adozione della mozione di Fratelli d’Italia da parte della giunta. Roberto Dipiazza aveva infatti affermato che lui stesso si smarcava dalla scelta, pur non negandone la paternità: «L’ho fatto perché il Consiglio non si perdesse a discutere sul nulla». Una posizione non facile, anche perché Almirante è icona cara a più di qualcuno in una maggioranza in cui, si diceva ironicamente nei mesi scorsi, il primo partito è il Movimento sociale italiano (visto il numero di ex dispersi nelle varie formazioni).
A tal proposito interviene Giacomelli: «Abbiamo chiesto di onorare Giorgio Almirante e le migliaia di triestini che hanno creduto in lui affollando piazza Unità durante i suoi comizi». E aggiunge: «Dobbiamo ribadire, ancora, che Almirante rinnegò il razzismo nel modo più assoluto per 40 anni di dopoguerra, fino alla morte, tanto che nel 1973 il senatore missino Caradonna (che in accordo con Almirante perorò al Senato la causa di Israele durante la guerra del Kippur) ricevette la lettera di ringraziamento del Rabbino capo di Roma Toaff (ex partigiano) e fu accolto a Gerusalemme dove pose, al Museo dell’Olocausto, una corona a nome della Destra Nazionale».
Giacomelli definisce poi chi si oppone all’intitolazione «professionisti dell’antifascismo fuori tempo massimo»: «Noi abbiamo le spalle sufficientemente larghe per affrontare queste forze. Dipiazza evidentemente no. Ha ceduto alle pressioni e ha cambiato idea». Il capogruppo di Fdi conclude ringraziando Brandi e dice: «Noi manterremo la parola data ai triestini sul sostegno a un programma elettorale che è stato votato ed ha vinto le elezioni. Fuori da quel documento ci sentiamo liberi di decidere di volta in volta cosa fare».
Mentre il sindaco sceglie la via del riserbo, su Facebook, il vicesindaco leghista Pierpaolo Roberti dice della mozione: «Fosse arrivata al voto non l’avrei votata. Sul farla propria dalla giunta, prima di andarmene ho espresso la mia contrarietà».
Serracchiani scrive invece: «La maggioranza che governa Trieste ritrovi al più presto la rotta del fare, lasciando da parte la tentazione di utilizzare il Comune come cassa di risonanza per parole d’ordine che fanno rumore ma lasciano la città immobile e più povera». La presidente dice poi che «emergono i limiti di una coalizione che ha imbarcato chiunque per vincere le elezioni: Tuiach insegna». Conclude così: «Bisogna sperare, per il bene di Trieste, che le forze più ragionevoli della maggioranza riescano a isolare e contenere le frange nostalgiche ed estremiste, che hanno prevalso nel primo anno e mezzo della consiliatura. L’egemonia ideologica della destra va contro la storia di questa città civile e tollerante, che ha sempre vissuto come estranei gli eccessi e i radicalismi».
Interviene anche la capogruppo del Pd in Consiglio comunale, Fabiana Martini: «L’uscita del sindaco, ovvero l’annuncio che l’intitolazione non si farà, ovviamente ci conforta ma ci trova anche basiti». Prosegue Martini: «È la dimostrazione plastica del fatto che abbiamo un sindaco non affidabile, un sindaco che non è di parola». Afferma ancora l’esponente del Partito democratico: «L’amministrazione parla per atti. Quando fa propria una mozione, prende un impegno con i consiglieri e quindi con i cittadini». Quello che il Pd si chiede oggi, conclude, «è a chi dobbiamo credere»: «Al sindaco, che si smarca dall’atto compiuto in aula dalla sua assessora? O alla stessa assessora, che a nome del sindaco e della giunta ha fatto propria la mozione in aula? Le polemiche di questi giorni, poi, dimostrano che i numeri per approvare il testo in aula non c’erano. Che senso ha quindi un Consiglio il cui valore viene continuamente sminuito?».
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