Trieste, il caldo record spiazza le api. Crolla la produzione di miele

Negli alveari manca ormai il nettare necessario ad alimentare gli sciami di insetti. Perdite superiori al 50%

TRIESTE. «In trent’anni e più che esercito il mestiere di apicoltore non mi è mai capitato di vivere un’annata negativa come questa. E la cosa che più preoccupa è che arriva dopo altre quattro stagioni consecutive tutt’altro che positive». Parola di Fausto Settimi, uno dei produttori di miele più blasonati e preparati del comprensorio triestino.

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Silvano Trieste 16/05/2017 Paesi del Carso, Grozzana, Basovizza, Apicoltura Abrami Carboni

Come nel resto d'Italia, anche sul Carso triestino e sulle colline che circondano il centro storico gli apicoltori sono in ginocchio. L'annata 2017 verrà ricordata tra le più negative per le quantità prodotte, soprattutto per quella calura insopportabile che sta mettendo a dura prova la sopravvivenza negli alveari delle piccole operaie. «Le api sono delle autentiche sentinelle dello stato di salute dell'ambiente.

La loro sofferenza è un chiaro indice di quei cambiamenti climatici che stanno avvenendo a grande velocità. C'è di che preoccuparsi - prosegue Settimi -, anche perché sono proprio le api a fecondare quei fiori che ci danno i frutti. Pochi se ne rendono conto ma, se muore l'ape, muore la nostra agricoltura. Il nostro mondo».

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C'è poco da stare allegri insomma: da tutte le parti del Bel Paese giungono brutte notizie sulla produzione mellifera. Complice una primavera dal tempo altalenante, le prime fioriture sono state poco frequentate dalle api. Al freddo e alle piogge di aprile e maggio ha fatto seguito un’estate bollente e siccitosa che ha impedito ai fiori di svilupparsi. E la piaga degli incendi ha fatto poi il resto.

«Qui da noi la primavera prometteva bene - riprende Settimi -. Le fioriture erano superbe, gli alberi di robinia (acacia) grondavano di fiori profumati. Purtroppo due fattori hanno condizionato la produzione di uno dei mieli più richiesti: la fioritura anticipata delle acacie ha colto impreparate le api. Le successive piogge e il freddo hanno poi provocato un fenomeno che ci ha colto di sorpresa: i fiori erano privi di nettare».

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«Un fatto davvero strano - interviene Vilma Carboni, produttrice di Grozzana - che ha azzerato quasi completamente quella che è la nostra principale produzione, per l'appunto il miele d'acacia».

«Abbiamo successivamente rialzato il capo con la produzione del miele di tiglio - sostiene il produttore carsolino Alessandro Podobnik -, ma le terribile calure di questa parte d'estate hanno progressivamente seccato i fiori compromettendo le altre produzioni. Ora siamo nelle condizioni di dover nutrire l'ape regina per stimolare la covata».

Il poco miele presente negli alveari serve sempre di più a quelle api che, attraverso il proprio volo, cercano di disperdere la poca acqua che, con fatica, portano nell'alveare. Un impegno gravoso per tentare di mantenere all’interno della propria casa un clima vivibile.

Per fare questo hanno bisogno di quelle scorte del miele che, oltre a rappresentare il carburante necessario al mantenimento attuale dell'arnia, serviranno a superare un inverno di cui ancora non si può conoscere l'entità del freddo.

«Di fronte alla magra annata precedente, quella attuale presenterà delle perdite oltre il 50 per cento, con punte fino all’80% del prodotto. Se in tempi brevissimi non caleranno le temperature e non pioverà - spiega Ales Pernarcic, presidente del Consorzio Apicoltori triestini che conta un centinaio di produttori - dovremmo assolutamente alimentare le api».

«Per evitare quanto successo nel 2003 - afferma Fausto Settimi - consiglio a tutti i colleghi di predisporre per tempo le scorte. So che alcuni di noi pensano di rifarsi con il frutto di una delle ultime fioriture, l'edera, ma non è possibile affidarsi a una speranza. Da parte mia ho già notato come in alcuni miei alveari le api non abbiano più del nettare con cui nutrirsi.

Il passo successivo, se non si provvede, è che mancando il cibo le piccole operaie inizino a nutrirsi con le proprie larve, segnando così la fine di tutto l'alveare. Provvedere alle scorte comporta l’accollamento di notevoli spese - continua Settimi -. Ritengo che la Regione debba prendere atto di quello che ormai è un vero e proprio stato di calamità e aiutarci con degli indennizzi».

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