Trieste. I professionisti e la crisi: «La gente non ci paga più»

La crisi non colpisce solo le aziende: anche i professionisti costretti a fare causa ai clienti per incassare le parcelle

TRIESTE. I notai si fanno pagare a rate, gli avvocati fanno causa ai loro stessi clienti e i commercialisti restano col cerino in mano. Quando i soldi non girano, le imprese non hanno più credito dalle banche, e coi risparmi familiari si devono finanziare i figli che non lavorano, non è solo il tessuto economico produttivo ad andare in rosso. Ci finiscono anche i professionisti che attorno a quel mondo gravitano. E che stanno affrontando frotte di clienti che non pagano più onorari e parcelle.

Le loro storie sarebbero state impensabili fino a poco tempo fa. Roberto Gambel Benussi, presidente dell’Ordine degli avvocati (una folla di 560 professionisti con altri in arrivo dopo l’ultimo concorso) parla di «proletarizzazione» della categoria. «Da un paio d’anni ci sono notevoli difficoltà a incassare - racconta -, a inizio di una causa riusciamo ad avere un acconto per le spese vive, ma il nostro lavoro non viene mai pagato prima che la causa sia conclusa e possono passare due anni e più, a volte il cliente dice che aspetta gli eventuali risarcimenti, ma se poi il pagatore è insolvente? Se si tratta di imprese, le loro difficoltà si ripercuotono anche su di noi, per il gioco perverso della catena».

E così alla fine l’avvocato che fino al giorno prima ha difeso strenuamente il signor Rossi, il giorno dopo lo cita in giudizio per avere la sua parcella. Oppure, di fronte a poche centinaia di euro, preferisce perdere quelle che non incappare egli stesso in spese aggiuntive.

Ai commercialisti va perfino peggio. «La nostra forza contrattuale nei confronti del cliente è molto debole - confessa Piergiorgio Renier, presidente dell’Ordine di categoria -, perché in suo conto siamo vincolati a gestire tutti gli adempimenti fiscali di legge, le partite Iva sono tutte nostre, e se per rivalerci sul mancato pagamento, sempre più frequente, lasciamo ferma la sua pratica siamo deontologicamente “traditori”: mandiamo, consapevoli, il cliente incontro a sanzioni».

Al massimo il commercialista “manda via” l’insolvente, colleghi affamati di lavoro se lo prendono volentieri, ma il problema semplicemente si sposta di ufficio. «Come va con il signor Verdi?». «Male. Non paga». E intanto per fare il «back office» dell’Agenzia delle Entrate, come aggiunge Renier, i commercialisti sono obbligati a dotarsi di software che costano 7000-8000 euro, e non possono rinunciare ad avere studio e un congruo numero di impiegati.

Numeri esatti sul crollo dei pagamenti i professionisti non ne hanno, ma fra i commercialisti dove ben che vada i saldi sono ritardati in questi ultimi anni a 120 giorni al posto dei 60-90 di norma, si usa una frase brutalmente idiomatica: «Molti sono alla canna del gas». Anche loro vanno dal giudice a citare il cliente. Ma, conoscendone per via diretta la «cartella clinica economica», talora si astengono: «Se so che non può pagare, e glielo impongo, le sue difficoltà aumenteranno». Sottinteso: «E anche le mie, di conseguenza».

Renier accusa soprattutto la devastante incertezza che grava sull’economia e congela il sangue di imprese, categorie e famiglie, ma tutti i professionisti analizzano criticamente anche il tessuto specifico triestino: nessuna grande azienda (che casomai ha i propri avvocati ed esperti fiscali), super-ricchi da operazioni finanziarie a sei zeri che si contano sulle dita di una mano, e per il resto affaretti e affarucci: bar, ristoranti, negozi, cause da giudice di pace, successioni famgliari, mutui sgranocchiati con fatica alle banche. Un tessuto così medio, che con poco finisce in crisi, e si trascina dietro tutto l’agglomerato di servizi e prestazioni correlati.

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