Trieste, i presidenti di Italia, Croazia e Slovenia al concerto di Muti

Diecimila persone in piazza Unità d’Italia. Napolitano, Türk e Josipovic invitati da Muti alla fine assieme sul palco. Il maestro: «Ho pensato molto in quale ordine suonare gli inni, era impossibile mescolarli...»
TRIESTE Un rito, con le sue delicate implicazioni, oppure un dono? C’era da chiederselo, ieri sera in piazza Unità, fra diecimila persone tra i seduti e i transennati (stime fornite dal Comune), mentre davanti ai tre presidenti, con Italia, Slovenia e Croazia sedute fianco a fianco in prima fila, Riccardo Muti ha alzato la bacchetta e i 360 giovani musicisti e coristi hanno dato fuoco agli inni nazionali, e poi alle partiture firmate da autori delle tre nazioni. E quando, alla fine, Muti stesso ha invitato Napolitano, Türk e Josipovic a salire sul palco per salutare i ragazzi. E quando i tre presidenti ci sono effettivamente andati, dando la schiena alla piazza, una piazza blindata e sorvegliatissima. E quando infine hanno affettuosamente salutato il Maestro, che, in inglese, ha voluto dar loro un compito: «Spero che quello che noi abbiamo fatto stasera con questi giovani possiate portarlo avanti voi, ma sempre con i giovani».




Applausi, applausi, applausi. All’arrivo e all’uscita dei tre presidenti, all’apparire di Muti sull’immenso palco, all’entrata a uno a uno degli orchestrali e dei coristi, dopo ciascun inno, dopo ogni brano, e anche in mezzo quando in aria si è issata la dolce e forte musica di Cherubini. Mentre le vele passavano sul mare (col permesso, infine, di tenersi a 100 metri dalla riva), anche il cielo si è per così dire trattenuto. Dieci minuti dopo la fine del concerto, dell’evento, e di tutto, si è scatenato il putiferio del maltempo, quasi una tromba d’aria. Anche il meteo è andato a cronometro.


Napolitano, assieme a Türk e a Josipovic, è sceso dalla Prefettura alle 21.15. Nel parterre, tra il sindaco Dipiazza, la presidente della Provincia Bassa Poropat, il senatore Roberto Antonione, il presidente della Rai Paolo Garimberti, il direttore di Raiuno Mauro Mazza, il giornalista Bruno Vespa, tantissimi altri invitati eccellenti, tra cui il vescovo Giampaolo Crepaldi, Riccardo e Rossana Illy, il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani col presidente della Regione, Renzo Tondo, il presidente del Porto Claudio Boniciolli, il sindaco di Udine Furio Honsell, ambasciatori delle varie nazioni.


«Questi giovani si sono incontrati in uno spirito di assoluta fratellanza, comprensione e amore, uniti dalla volontà di avere un futuro dove orrori, guerre, tragedie scompaiano - aveva detto Muti nel pomeriggio in una conferenza stampa -. Lo spirito dell’uomo è molto più ragionevole, travalica le possibilità della parola, col sentimento si raggiungono obiettivi che le parole non sono capaci di ottenere. Ma col concerto - ha aggiunto Muti senza mai addentrarsi nella storia ”politica” della vigilia triestina - noi non risolviamo ciò che deve essere sedato negli animi, noi non cancelliamo dolori o colpe, invitiamo solo a guardare al domani con spirito nuovo, i giovani dimostrano in modo esemplare che è possibile. E niente può arrestare la forza della gioventù».


Un po’ di leggerezza, infine: «I ragazzi - ha sorriso Muti - hanno fatto subito amicizia, a Ravenna hanno anche mangiato la pizza assieme. La pizza è italiana, che ci possiamo fare, non conosco quella slovena...». E il risultato politico? I tre presidenti a Trieste per la prima volta assieme? «Io non mi faccio carico di onori che non merito - ha risposto Muti - il primo riconoscimento va ai presidenti, e al presidente Napolitano in primo luogo, che ha preso subito molto a cuore l’idea».


Tanti e intensi, i ricordi delle precedenti «Vie dell’amicizia», in città del mondo dove morti, odio e lutti erano ben che recenti, se non addirittura presenti: «Ogni concerto ha una sua storia - ha rammentato Muti -, la prima volta a Sarajevo nel 1997 fu drammatico, arrivammo con aerei militari, sotto le bombe. Ma la città chiedeva a braccia aperte che arrivasse qualcuno ad aiutare chi voleva esistere. A Gerusalemme ci fu la Messa da Requiem di Verdi con israeliani e palestinesi, e a New York subito dopo ”Ground Zero” uomini e donne con le foto di figli e fratelli uccisi. Tutti i concerti si sono conclusi col sorriso».


Anche quello di ieri, in una compostezza intensa e partecipe. Con un sorriso Muti ha però anche rivelato il suo personale e ineludibile inciampo nel groviglio del confine orientale: «In quale ordine suonare gli inni? Ci ho pensato molto. Nella disperazione, ho perfino pensato di fare un mio arrangiamento mescolandoli assieme, ma sarebbe stato improponibile. Allora, siccome l’idea è partita da Ravenna, da me, ho dato precedenza all’inno italiano, e ho proseguito in senso orario, poi Slovenia e quindi Croazia». In linea dritta, invece, la scelta delle musiche. Il Requiem di Cherubini che nel 1816 dissolse in musica il lutto e la tragedia della morte violenta dei reali di Francia ieri si è innalzato nel cuore di Trieste «per dare pace e riposo - ha detto Muti - a tutti i morti, a chi ha sofferto, ha subìto tragedie, perdite, fratricidi».

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