Trieste, gli assenteisti risarciscono l’Università

Undici dipendenti su 12 accolgono la proposta di patteggiamento. E versano da 200 a 2mila euro
La sede di via Filzi dell'Università
La sede di via Filzi dell'Università

TRIESTE Chi ha pagato 2mila, chi 200 euro. Tutti i 12 presunti assenteisti dell’Università, quelli che avrebbero dovuto lavorare nella sede di via Filzi e invece erano in giro per gli affari loro in città, hanno risarcito il danno arrecato alle casse dell’Ateneo. E ben 11 di loro hanno accolto la proposta del pm Federico Frezza di patteggiamento. L’accusa è truffa aggravata e continuata.

Questo è emerso nell’udienza di ieri davanti al gip Laura Barresi. Le pene - sospese - per le assenze ingiustificate dal posto di lavoro - variano tra un minimo di 4 al massimo di 10 mesi. A questo prezzo i “furbetti” - che rappresentano come numero il 30 per cento dei dipendenti in servizio in via Filzi - dovranno aggiungere anche il danno subito per il procedimento disciplinare attivato a loro carico che in alcuni casi li ha privati anche di sei mesi di stipendio.

Trieste, «a giudizio 12 assenteisti dell’ateneo»
Alcuni dei dipendenti “beccati” dai carabinieri fuori dal luogo di lavoro

I nomi sono quelli di Dario Loschiavo, 52 anni, impiegato bibliotecario; Chiara Secoli Henke, 55 anni, pure bibliotecaria; Ilario Dimasi, 55 anni, impiegato al Ced; Diego Saletnik, 56 anni, tecnico; Patrizia Zazinovich, 59 anni; Micaela Ressa, 59 anni; Serena Castro, 54 anni; Alessandra Russian, 54 anni; Costanza Barucca, 59 anni; Alberto Severi, 59 anni (l’unico che andrà al dibattimento); Luisa Dante, 49 anni, e Federica Gori, 45 anni.

Loschiavo, Secoli, Dimasi e Saletnik, nello scorso novembre, erano stati arrestati dai carabinieri in flagranza e cioè quando se ne stavano fuori dalla sede di lavoro. Gli altri otto invece sono stati identificati dall’esame dei filmati delle telecamere che gli investigatori avevano piazzato all’ingresso della sede dell’Ateneo contestuale alla verifica dei badge elettronici. E in effetti - a giudicare dai numeri - quella di lasciare il proprio posto di lavoro senza timbrare il cartellino - figurando dunque regolarmente in servizio - era evidentemente una consuetudine. Per tutti, i carabinieri hanno documentato le svariate assenze dal luogo di lavoro. Da poche decine di minuti fino anche a due o tre ore.

Per esempio c’era chi impiegava - secondo i filmati realizzati dai militari - il proprio tempo per andare al supermercato oppure a casa per mettere in ordine e svolgere le faccende domestiche. Ma anche chi se n’era andato dall’ex Balkan a far shopping in centro, a leggere il giornale al bar, in farmacia, o in macelleria a comprare carne e salumi. Per qualcuno la media di assenze rilevate in certi giorni, soprattutto al giovedì, è stata di 2-3 ore su un orario di lavoro di 7-8 ore. Insomma, metà tempo in ufficio, l’altra metà fuori, per gli affari propri. Nutrita la schiera dei difensori. Si tratta degli avvocati Fulvio Vida, Sergio Mameli, Alessandro Cuccagna, Davide Benvegnù, Carmine Pullano, Andrea Diroma, Giancarlo Muciaccia, Enzio e Paolo Volli, Federico Valori, Fabio Gerbini, Paolo Pacileo e Alessandro Giadrossi. Le sentenze saranno definite il 9 ottobre.

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