Trieste, gli ambulanti scesi in piazza: ecco cosa rivendicano

Denunciano una situazione non più sostenibile con le imprese del settore ormai in ginocchio
Un momento del presidio in piazza Unità di ieri. Foto Bruni
Un momento del presidio in piazza Unità di ieri. Foto Bruni

TRIESTE «Non vogliamo la carità, chiediamo solamente di poter lavorare, anche con regole ferree». È il messaggio lanciato da una trentina di commercianti ambulanti del sindacato Goia che, ieri mattina, venerdì 2 aprile, hanno protestato in piazza dell’Unità sotto il palazzo della giunta regionale, denunciando una situazione non più sostenibile con le imprese del settore ormai in ginocchio.

«Nel corso di un anno abbiamo lavorato solamente i tre mesi estivi - spiega Gilberto Marcolin segretario Goia Fvg e Veneto -, ora siamo arrivati alla fine con famiglie che si ritrovano il frigo vuoto. Dal Governo solo prese in giro: i ristori sono arrivati in due trance da 600 euro e una da 1.200 euro, poi però ci hanno chiesto 4 mila euro di Inps. Ci hanno dato degli aiuti per poi chiederli indietro, era meglio non dare niente».

«Chiediamo di poter lavorare - aggiunge Dino Contro, vicesegretario Goia in Fvg - non vogliamo la carità. Lo stato si è dimenticato che esistiamo e questo non è accettabile perché il commercio ambulante esiste da sempre». La categoria conta in regione circa 1.600 operatori, al momento 800 di questi non possono lavorare perché non vendono prodotti alimentari. «I nostri articoli però poi si possono comprare nei centri commerciali - denuncia Marcolin -. Eppure i mercati sono all’aria aperta con controlli rigidi. Questo è ingiusto».

Una delegazione è stata ricevuta dall’assessore Pierpaolo Roberti il quale ha ricordato che la Regione ha inserito la categoria tra gli aventi diritto ai ristori. «Ci impegneremo comunque anche con il Governo affinché gli ambulanti rientrino tra le tipologie di esercizi commerciali ai quali è consentito lavorare nella zone soggette a restrizioni».

«Quello dei mercati rionali è un mondo che a Trieste resiste ancora a Borgo San Sergio, Roiano e Muggia - racconta Daniele Massarotto -. Io vendo casalinghi e non lavoro con regolarità dal 15 marzo a causa delle chiusure obbligatorie in zona rosse. Dall’inizio della pandemia, ad esempio, il mercato di San Giacomo si è ridotto notevolmente, mentre Muggia senza gli sloveni non è più redditizio». —
 

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