Trieste, garanzie false e perizie dubbie: la Colombin sotto sequestro
TRIESTE Fideiussioni false. Consulenze sospette. L’ombra dei faccendieri. Il blitz della Guardia di finanza e i conti bloccati. E, infine, l’intervento della magistratura con il sequestro. I capannoni della Colombin, la storica società di zona industriale produttrice di tappi da sughero per il mercato italiano ed estero, ora sono sotto vincolo giudiziario.
Il provvedimento di sequestro è stato disposto dal Tribunale su sollecitazione del pm Federico Frezza (procuratore facente funzioni) e del pm Maddalena Chergia. Si tratta di una misura cautelare pre-fallimentare dei beni immobili della “Colombin & Figlio spa”, questo il nome dell’impresa, per un valore di otto milioni e mezzo di euro.
La Procura ha dunque chiesto il fallimento dell’azienda. Venerdì 11 settembre è in programma dal giudice Daniele Venier l’udienza per discutere il procedimento. La Sezione civile e fallimentare del Tribunale (presidente Arturo Picciotto) ha nominato Mario Giamporcaro commissario giudiziario.
L’operazione della magistratura è un colpo di scena per la società, da anni in crisi e che ha già fatto domanda di concordato. In questi giorni non sono mancate le visite della Finanza, con tanto di perquisizione negli uffici dell’impresa controllata: la Colombin 1894 srl, di cui - da quanto risulta - sarebbero stati bloccati i conti.
Cosa ha innescato il provvedimento di sequestro? Frezza ha allungato la lente d’ingrandimento sulle vicende societarie degli ultimi mesi scoprendo alcune “zone d’ombra” nelle varie operazioni finanziarie. Tanto che il Tribunale, nel suo atto di accoglimento della richiesta di sequestro, citando gli accertamenti del commissario Giamporcaro parla apertamente di «rilevanti anomalie» contenute nel contratto preliminare di compravendita immobiliare del 2 marzo. Quello cioè stipulato tra la Colombin & Figlio spa (venditrice) e il fondo inglese Gepro Investments Partners Ltd (acquirente). Mentre già a gennaio un’altra impresa, la Ge.co srl (che fa capo a Salvatore Tuttolomondo), aveva comunicato l’acquisto del 60% delle quote dell’azienda di tappi. Ma senza alcun esborso immediato. Per inciso, risale a quel mese la nomina del nuovo cda con Andrea Causin presidente, Pasquale Giordano consigliere e Roberto Bergamo consigliere e amministratore delegato (quest’ultimo a maggio dell’anno scorso figurava ad del Palermo Calcio).
Il 2 marzo, dunque, è la data chiave dell’operazione che non convince i magistrati: la Colombin sottoscrive il preliminare di vendita degli immobili (valore 8,5 milioni, come detto) in favore della Gepro. Il trasferimento al fondo inglese avviene immediatamente e non è accompagnato dalla previsione di un acconto. Ma a destare i sospetti è soprattutto il rilascio della fideiussione a garanzia del pagamento: una fideiussione in cui compare una banca di Cipro del Nord (l’autoprocalmata “Repubblica Turca di Cipro del Nord”) e che - si legge negli atti giudiziari - «si è rivelata falsa».
Gli accertamenti si sono estesi anche all’operazione del 30 giugno, quando la Colombin ha stipulato un contratto di affitto di azienda con la Colombin 1984 srl, la new.co (controllata al 100%) che di fatto ha portato avanti la gestione aziendale. Anche qui sono state riscontrate «singolarità»: l’affitto è stato pattuito «il giorno prima» della presentazione dell’istanza di ammissione al concordato, annota il procuratore Frezza, è non è stato «mai» versato il canone. In tutto questo guazzabuglio è spuntato «dal nulla», così negli atti, pure un versamento di 170 mila euro finiti nelle tasche di una società di mediazione, la “Consultrade d.o.o.”, durante le operazioni di cessione immobiliare alla Gepro: una mediazione «inesistente», è l’accusa.
La fideiussione falsa, l’affitto di azienda portato a termine poche ore prima dell’istanza di concordato e le migliaia di euro alla Consultrade come compenso «per un’attività non svolta» rappresentano «condotte sintomatiche della spoliazione in atto della Colombin». A ciò si aggiungono gli interrogativi sulla «veridicità» delle obbligazioni conferite dalla Ge.co per l’aumento del capitale. I magistrati ritengono di trovarsi davanti alla creazione di scatole vuote. Con l’intenzione, sembra, di trasformare lo storico immobile in un deposito fiscale per gli idrocarburi. Bergamo (componente del cda della srl), contattato, non commenta. I 72 dipendenti sono già in cassa integrazione. In questo periodo stanno lavorando 10-20 persone. Molti stanno cercando un altro lavoro.—
Riproduzione riservata © Il Piccolo