Trieste, Frezza ricorre in Cassazione contro le sanzioni del Csm
TRIESTE. Il giorno dopo la bufera, nel Palazzo di giustizia di Trieste il clima è quello dell’attesa. Una sorta di calma apparente, fatta di bocce cucite e sguardi bassi, piombata sui corridoi del Tribunale dopo il clamore suscitato dalla “punizione” decisa dal Csm nei confronti di Federico Frezza: censura e trasferimento a Treviso.
Lui, il pm a cui viene contestato di aver usato «toni irridenti» con i superiori, ieri mattina è rimasto blindato nel suo ufficio al secondo piano, per studiare le prossime mosse. E analizzare, in attesa di leggere le motivazioni del provvedimento, le carte giudiziarie da giocare in quella che, in Tribunale, molti togati descrivono come una sorta di guerra aperta tra lui e il procuratore capo Carlo Mastelloni, in piedi peraltro da tempo.
Una guerra tutta triestina che ricorda però da vicino quella che si era scatenata nel 2014 a Milano tra l’allora procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati.
Frezza, si diceva, studia le carte perché si prepara a percorrere la strada del ricorso alle sezioni unite della Cassazione. Una strada necessaria per bloccare il provvedimento di censura e la sanzione accessoria del trasferimento alla procura di Treviso.
Conseguenze disciplinari scattate a seguito frasi usate durante una conversazione telefonica con il cronista di giudiziaria del Piccolo Corrado Barbacini. In quella telefonata intercettata Frezza secondo il Csm ha usato appunto «toni irridenti» nei confronti dello stesso procuratore capo Carlo Mastelloni e del pg Dario Grohmann, e ha inoltre tenuto «un comportamento gravemente scorretto» verso il tenente colonnello della Finanza Giacomo Moroso, responsabile della Direzione investigativa antimafia del Friuli Venezia Giulia.
A pronunciare la sentenza di condanna nei confronti di Frezza, lunedì scorso, è stato il presidente della sezione disciplinare Antonio Leone, avvocato in quota Ncd che ha gestito e coordinato le decisioni del collegio composto da Maria Elisabetta Alberti Casellati, ex senatrice Pdl e dai togati Maria Rosaria San Giorgio (Unicost), Lorenzo Pontecorvo (Magistratura indipendente), Nicola Clivio (Area di sinistra) e dall’ex presidente dell’Anm Luca Palamara (Unicost). Unici testimoni sono stati il procuratore capo Carlo Mastelloni, il tenente colonnello Giacomo Moroso e l’assistente capo della polizia Stefano Parovel al quale, secondo l’accusa, il pm Frezza aveva rappresentato - sotto forma di confidenze fatte durante un tragitto nell’auto di servizio - le proprie critiche nei confronti dell’ufficiale della Guardia di finanza, «da lui descritto come una persona che non aveva mai concluso niente durante la sua permanenza a Trieste, che scriveva come un alunno della quinta elementare e col quale avrebbe preferito non continuare a lavorare». A Roma era intervenuto, sempre come testimone, anche il pm Pietro Montrone.
Frezza avrà un mese di tempo per presentare il ricorso dopo il deposito della sentenza con le motivazioni. Poi, con il ricorso, la palla tornerà a Roma, appunto alle sezioni unite civili della Corte di Cassazione. Dovrà essere fissata un’udienza dalla quale sostanzialmente dipenderà l’esito di tutta la vicenda disciplinare del pm triestino. Solo al termine di questo iter, quindi, il trasferimento a Treviso potrebbe diventare esecutivo. Nulla di immediato, insomma.
Va detto peraltro che la sentenza pronunciata dalla sezione disciplinare del Csm, se da un lato ha fatto scattare la censura e la pena accessoria del trasferimento a Treviso, dall’altra ha anche fatto cadere altre accuse ipotizzate nelle segnalazioni del procuratore capo. Si tratta di contestazioni legate a una serie di inchieste che lo stesso magistrato finito nella bufera si era autoassegnato nei primi mesi del 2015. Periodo in cui, in qualità di pubblico ministero con maggior anzianità di servizio, aveva assunto il ruolo di facente funzioni del procuratore capo (non ancora nominato).
Da lì le prime scintille sfociate poi in tensioni via via più evidenti, che hanno finito per rendere la situazione all’interno della Procura progressivamente sempre più difficile e complessa. Fino all’esplosione della “guerra” all’interno del Palazzo. Preceduta, il 26 gennaio dello scorso anno, dall’improvviso trasferimento alla procura di Udine, su propria richiesta, del pubblico ministero Giorgio Milillo.
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