Trieste: fatture “raddoppiate”, truffa all’Ass

Rimborso di prestazioni gonfiate: il pm chiede il rinvio a giudizio del vertice della spa che gestisce il Sanatorio triestino

 

Truffa al Servizio sanitario nazionale. Per questa ipotesi di reato il pm Federico Frezza ha chiesto il rinvio a giudizio del vertice della società per azioni che gestisce il Sanatorio triestino, la più antica casa di cura della città.

Alla presidente del Consiglio di amministrazione Bruna Catalani Giamperlati e ai direttori sanitari Vita Natuzzi e Andrea Flego viene contestato di aver chiesto all’Azienda sanitaria triestina nel lontano 2009 il rimborso di prestazioni “gonfiate”. Due al posto di una. Questa prassi, in base all’inchiesta della Guardia di Finanza, si è ripetuta per 59 volte su altrettanti pazienti che si erano sottoposti a endoscopia digestiva.

Secondo la documentazione inviata per il rimborso all’Azienda sanitaria, il medico aveva effettuato due esami diversi: uno esplorativo, l’altro di “prelievo”. Dall’esame dettagliato delle cartelle cliniche, al contrario, è emerso che l’esame era stato uno solo e come tale avrebbe dovuto essere fatturato. In sintesi, nei 59 casi finiti sotto la lente della Procura della Repubblica, alle originarie endoscopie semplici era stata affiancata a livello di richiesta di rimborso una seconda endoscopia di maggior costo: con biopsia o con polipectomia.

In questo modo, secondo l’accusa, invece di incassare complessivamente 11 mila e 300 euro, il Sanatorio triestino spa ha ottenuto un rimborso di 18 mila e 300 euro con un “ingiusto profitto” superiore ai settemila euro. In altri termini l’Azienda sanitaria per ognuno dei 59 pazienti sottoposti a questo esame ha speso quasi 120 euro in più di denaro pubblico. «Siamo nel giusto e lo proveremo», ha affermato ieri la presidente del Consiglio di amministrazione della Casa di cura: «Continuiamo a fare ciò che abbiamo sempre fatto per i nostri pazienti. L’imminente udienza chiarirà ogni dettaglio».

Nell’indagine è incappato anche un medico dentista convenzionato con l’Azienda sanitaria. È il dottor David Vergna con studio in via dei Leo, al quale la Procura contesta di aver chiesto il rimborso all’Azienda sanitaria di prestazioni “mai erogate” o codificate in maniera inappropriata: tra queste, ad esempio, doppie prime visite. Il medico avrebbe incassato seimila euro in più del dovuto. Per mettere a fuoco i dettagli di quanto è accaduto nel 2008, i finanzieri, coordinati dal pm Federico Frezza, hanno sentito come testimoni una dozzina di pazienti. Uno ha sostenuto di «non essere mai entrato nel 2008 nell’ambulatorio del dentista».

Va aggiunto che i primi sospetti di queste anomalie erano emersi attraverso i controlli incrociati effettuati all’interno dell’Azienda sanitaria dalla dottoressa Maddalena Grella e dai suoi collaboratori, impegnati a valutare la congruità tra le richieste di rimborso effettuate dalle cliniche private e dai medici convenzionati con le tabelle messe a punto dall’Amministrazione regionale. Nell’imminente udienza preliminare l’Azienda sanitaria potrà costituirsi in giudizio e chiedere gli eventuali danni.

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