Trieste, famiglia di Altura “ostaggio” dei ratti
TRIESTE Alle due e mezza di notte del 15 novembre la signora Pasqua Rosaria, 69 anni, si sveglia di soprassalto. Come se qualcosa le avesse sfiorato le gambe. Ma sul momento non ci dà troppo peso. Si gratta e si volta dall’altra parte. Sta per riaddormentarsi quando sente di nuovo «quel qualcosa», che stavolta le cammina vicino al ginocchio. È buio, si spaventa. Accende la luce e vede un animaletto peloso, grigio e con la codina che zampetta tra le lenzuola.
Una settimana dopo l’appuntato scelto Antonio Zaza e l’appuntato Umberto Mazziotta della Stazione di Borgo San Sergio, bussano alla porta dell’alloggio per un controllo. Si fanno aprire la stanza da letto quando, all’improvviso, «si udiva un forte squittio seguito dalla fuga di un topo che si perdeva dietro l’armadio sito nella camera». Così nel verbale redatto dai due carabinieri. Controllando più a fondo, i due appuntati scopriranno che sotto il materasso «vi erano sparse deiezioni di topo, oltre ai buchi presenti sulle pareti già chiusi dalla figlia della donna per evitare che continuassero a entrare gli ospiti indesiderati».
Sono quasi due mesi che la famiglia Castellano vive uno dei peggiori incubi: il loro appartamento di settanta metri quadrati al piano terra di via Monte Peralba 17, ad Altura, è invaso dai ratti. Ma la vicenda continua tutt’ora. Perché - è l’accusa degli inquilini - nessuno tra Comune (proprietario della abitazione), Ater (gestore) e Azienda sanitaria (fa le derattizzazioni), contattati dalla famiglia, ha risolto il problema. E così la sessantanovenne Pasqua Rosaria, il marito Michele di settantacinque anni (invalido al 100%) e il figlio di quarantadue, Andrea, sono costretti ad alloggiare assieme agli animaletti.
Li vedono spuntare in cucina, dai battiscopa. Si infilano nei mobili. Sfrecciano in corridoio. «Squit squit» dappertutto. Li sentono spesso tra le intercapedini dei muri in cartongesso. Dove, probabilmente, hanno proliferato. In queste ore la loro casa è ancora disseminata di trappole e colla: in un mese sono riusciti a catturare ben otto esemplari, tra topolini e pantigane. Per non parlare dei bisognini che punteggiano il letto matrimoniale e il pavimento.
È la figlia Elena ad aver preso in pugno la situazione. «In realtà il primo episodio si è verificato in cucina già il 7 ottobre - racconta - quindi abbiamo subito contattato i vigili del fuoco che però non ce l’hanno fatta a catturare il ratto». Elena ha posizionato qua e là un po’ di trappole e di veleno: nel giro di un paio di giorni ha acchiappato due animaletti. «Ci siamo rivolti all’Ater, ma senza ricevere risposta», lamenta.
Nel frattempo le prede diventano sei. Gli avvistamenti, compresi i topolini tra le coperte, le gambe e il materasso, non si contano. «Ho riprovato con l’Ater - ripercorre ancora la figlia - ma nonostante le promesse di mandare qualcuno a verificare, non si è mai visto nessuno. Allora ho sollecitato l’ufficio igiene dell’Azienda sanitaria chiedendo un sopralluogo urgente. Sono venuti lunedì per derattizzare l’esterno del palazzo, ma non l’interno. Mi è stato detto, infatti, che le pareti sono di cartongesso e che i ratti potrebbero essere in ogni intercapedine e venir fuori da altri buchi. L’Ater, comunque, sostiene che l’appartamento sia agibile, idem l’Azienda sanitaria...». E così la famiglia si è rivolta ai carabinieri. Gli appuntati, nella loro visita, si sono visti passare un topino tra le scarpe. «Il Comune, che è proprietario - insiste la signora Elena -, continua a dirci che non ci può dare un alloggio sostitutivo e che dobbiamo arrangiarci. Ma anche se fanno una derattizzazione, il problema permane perché le pantigane sono tra i muri».
«Sono situazioni che purtroppo capitano - risponde il direttore dell’Ater Antonio Ius - verificheremo al più presto. Ma se è vero che i topi si trovano nelle intercapedini, serve un’operazione di risanamento e di intervento edilizio».
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