Trieste, «Ecco perché Tarlao ha ucciso ed è rimasto giorni col cadavere»

Nelle motivazioni della sentenza il movente e i tormenti psichici dietro l’efferato omicidio di via Santi
Tarlao nel frame tratto da un filmato di una ventina d’anni fa
Tarlao nel frame tratto da un filmato di una ventina d’anni fa

TRIESTE È il 14 agosto 2018 quando la badante di un inquilino del piano di sopra lancia l’allarme: dall’alloggio sottostante proviene un fetore che sta diventando ormai insopportabile. Alla palazzina Ater di via Santi arrivano i vigili urbani. Bussano senza ottenere risposta per venti minuti finché un pensionato classe 1928, Luciano Tarlao, apre la porta. Lo scenario che si trovano di fronte è raccapricciante. Nella stanza da letto da dove proveniva il fetore c’è il cadavere in avanzato stato di decomposizione del coinquilino di Tarlao, il 44enne Mauro Vazzano, nascosto sotto un cumulo di giubbotti e coperte. Ovunque ci sono tracce di sangue. Vazzano è stato raggiunto da numerosi fendenti e poi sgozzato.


Fin dal primo momento non sembrano esserci dubbi: l’omicida è Tarlao. Dubbi che non ha avuto neppure la Corte d’Assise presieduta da Pier Valerio Reinotti che il 22 maggio di quest’anno lo ha condannato a 14 anni con il riconoscimento della seminfermità mentale. Ora, sappiamo anche tutti i perché della condanna. Ecco le motivazioni della sentenza.

Tra le prime prove citate ci sono le dichiarazioni dalla farmacista alla quale si era rivolto Tarlao l’8 agosto (il delitto era stato collocato temporalmente, dagli investigatori, tra il 7 e l’8 agosto). Le aveva detto di essersi ferito con un ferro alla mano sinistra senza chiarire le modalità, ma nella sentenza si sottolinea la compatibilità di tale ferita col delitto. Se l’era inferta involontariamente con il coltello che impugnava nella mano destra nell’atto in cui estendeva con l’altra mano «il capo di Vazzano dormiente per poterlo sgozzare». Evidenziata l’inverosimiglianza delle dichiarazioni di Tarlao in cui negava di essersi accorto della morte del coinquilino «considerato l’avanzato stato di decomposizione, l’odore nauseabondo e la presenza di tracce emetiche miste, sue e della vittima, disseminate nell’intero appartamento».

In cucina era stato trovato un coltello lungo 34 centimetri che il medico legale Costantinides aveva ritenuto compatibile con le lesioni sul corpo della vittima. Poi ha pesato l’ammissione da parte di Tarlao «di aver aperto le imposte della stanza occupata da Vazzano il giorno prima del rinvenimento del cadavere, quando questo già giaceva sotto un mare di coperte e giubbotti».

Una vicina di casa aveva smentito Tarlao il quale aveva negato attriti col coinquilino e aveva riferito di frequenti litigi tra i due, l’ultimo dei quali risalente a una settimana prima del ritrovamento del cadavere. C’è anche un’intercettazione tra l’anziano e un suo parente in cui quest’ultimo alludeva a screzi tra Tarlao e la vittima nonché le parziali ammissioni dello stesso anziano che imputava al coinquilino «comportamenti egoistici e furtivi».



Per quanto riguarda il movente, secondo la sentenza «la riposta più banale, quella che riconduce l’omicidio a una situazione di insofferenza di Tarlao per i rapporti economici con Vazzano, è abbastanza verosimile. Sicuro è che il canone Ater corrisposto da Vazzano fosse di 48 euro al mese, quando Tarlao gli corrispondeva per quella sorta di sub-affitto 300 euro. Poi ci sono, come detto, le dichiarazioni della vicina sui litigi. In una circostanza Tarlao le aveva confidato di non andare d’accordo con Vazzano. Negli interrogatori l’anziano lo aveva accusato «di essere stato egoista perché quando ordinava la pizza non gliene offriva un po’».



Un ampio spazio, nella sentenza, è dedicato allo scandaglio della mente dell’anziano omicida, sottoposto a perizia psichiatrica. Emergono dettagli inquietanti. Nel 2014 in occasione di un suo accesso al pronto soccorso era stato trovato in possesso di un coltello con lama di 30 centimetri, a suo dire per difendersi «dai comunisti». Aveva sempre manifestato confusi orientamenti «nazifascisti» e oltre a girare armato di coltellacci si autodefiniva “l’incudine di dio” a testimonianza della sua capacità di sopportare i shakespiriani “colpi dell’avversa fortuna”. Il perito mette in luce lo sconforto dell’imputato che emerge in numerose sue espressioni per non aver ottenuto «una fine eroica» e insieme «un bisogno di autopunizione per essergli a suo dire “andato sempre tutto bene”». Da qui la sua scelta di rimanere con il cadavere «aspettando il volgere degli eventi». Anche a 90 anni, peraltro, manteneva ancora comportamenti spavaldi, rimpiangendo il suo passato da “gaucho” (era stato anche un ottimo fantino, gareggiando al Palio di Siena).



Il perito parla di un profondo e intimo tormento psichico: «Potrebbe aver rimosso l’omicidio compiuto con violenza ed efferatezza pari all’intensità e alla profondità della sua tempesta interiore». Prospetta infine l’ipotesi che il delitto possa essere stato generato da una discussione sollevata da Vazzano che si lamentava per la puzza che Tarlao emanava e per la sua carenza di igiene». —




 

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