Trieste, e ora rispunta la Provincia autonoma

De Gioia, Bandelli e Rovis sposano la consultazione friulana per abolire le Uti e per un’autonomia modello Trentino Alto Adige
Roberto De Gioia, Franco Bandelli e Paolo Rovis a una riunione di capigruppo (Lasorte)
Roberto De Gioia, Franco Bandelli e Paolo Rovis a una riunione di capigruppo (Lasorte)

TRIESTE Dopo Trieste Metropolitana irrompe sulla campagna elettorale la Provincia autonoma. Un ritorno di fiamma per Trieste. «In tutta la Regione, prima a Pordenone, poi a Udine e Gorizia e ora anche a Trieste, è stata avviata la raccolta delle firme per promuovere un referendum che porti a una riorganizzazione istituzionale del Fvg attraverso l’abolizione delle Uti e l’istituzione di due Province autonome, quella di Trieste e quella del Friuli, sul modello di Trento e Bolzano» fanno sapere i promotori che a Trieste sono Roberto de Gioia (Psi), Franco Bandelli (Un’Altra Trieste) e Paolo Rovis (Trieste Popolare).

Un’iniziativa traversale (e bipartisan), visto che i socialisti sostengono il candidato di centrosinistra Roberto Cosolini, mentre gli altri il candidato di centrodestra Roberto Dipiazza. La Provincia autonoma è un cavallo di battaglia della vecchia Lista per Trieste, ripreso poi da Primo Rovis (50mila firme raccolte) e da vent’anni il sogno del camaleonte della politica triestina De Gioia («Il nuovo che avanza» scherza Bandelli).

La novità è che ora la richiesta arriva dal profondo Friuli. Diversi sindaci friulani, allergici alla riforma degli enti locali di Serracchiani & C., hanno promosso due referendum: uno abrogativo delle Unione territoriali intercomunali (Uti) e uno propositivo per l’istituzione delle province autonome sul modello del Trentino Alto Adige. Il comitato referendario ha sede a Rivignano Teor. Nella prima fase servono 500 sottoscrittori per sottoporre i referendum all’attenzione del Consiglio regionale. E, una volta dichiarati ammissibili, bisognerà raccogliere 15mila firme. «Il progetto che mira alla due Province autonome non è in contrasto con la proposta della Città metropolitana in quanto poi ogni provincia potrà darsi la struttura istituzionale che preferisce - spiegano i promotori triestini -. Intanto però si supera la questione dei Comuni minori, che di Città metropolitana non ne vogliono sentir parlare, mentre rimane viva la Provincia (non quella attualmente in liquidazione) che, rafforzata dalla potestà legislativa, finanziaria e amministrativa, potrà meglio svolgere il ruolo di equilibrio con le minoranze etniche presenti sul territorio».

Sul piano finanziario, fanno sapere i promotori, «il progetto prevede che lo Stato riconosca una compartecipazione al gettito di tutte le entrate tributarie e comunque non inferiore ai nove decimi (ora sono sei) e porta anche a un risparmio dei costi della politica in quanto il Consiglio regionale è formato dagli stessi consiglieri provinciali». E i confini? «La Regione autonoma Friuli e Trieste è composta da due Province autonome, rispettivamente del Friuli e Trieste, divise dalla Foce del fiume Timavo» recita il testo referendario. Da una parte il grande Friuli (con le attuali provincie di Udine, Pordenone e Gorizia) e dall’altro la minuscola area giuliana con Trieste: un milione di abitanti contro poco più 200 mila. «Nulla vieta che in futuro con referendum Monfalcone, Gorizia (ma anche Doberdò del Lago) possano aderire alla Provincia autonoma di Trieste» mettono le mani avanti De Gioia, Bandelli e Rovis. «Un’occasione da non perdere: i friulani ci offrono un divorzio consensuale» spiega Bandelli che se ne intende. «Non si tratta di un amarcord - aggiunge Rovis -. È la strada più breve per arrivare alla Città metropolitana» aggiunge Rovis. Usando il cavallo di Troia dei referendum friulani.

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