Trieste, due maniere di giocare con il Lego
TRIESTE Chi ha giocato o ancora gioca con il Lego sa che ogni Lego City è una polis perfetta, in teoria autosufficiente, capace di sopravvivere a se stessa nel tempo, una sorta di “città giusta” come teorizzava Platone nella Repubblica: anche a lui forse sarebbe piaciuto il Lego, che educa a mettersi in discussione, a sfidarsi nel costruire qualcosa di nuovo, pur nella difficoltà. Se manca un mattoncino, non ci sono capricci che lo restituiscano: tutto si ferma. Sta al bambino, ritrovarlo o capire dove l’ha posto per errore: oppure far ricorso alla sua creatività. Chi ci gioca impara a fare i conti con i propri limiti, a cercare il coraggio o l’immaginazione per superarli: così si può formare un non più bambino capace di gestire o modificare in meglio la realtà che lo circonda. In queste settimane a Trieste si può assistere a due modi diversi di approcciarsi al Lego: uno è la mostra/laboratorio agli Incanti con un milione di mattoncini gioia di grandi e piccini (offerta dalle Generali attraverso Genertel); l’altra è la piantina di Porto Vecchio, la mappa dell’antico scalo in grado di cambiare volto e parte dei destini alla città e non solo.
Approvate le linee generali (con la minuscola) di indirizzo, così generali che quasi nessuno ha potuto dire di no, resta da immaginare un’idea portante che regga la Trieste city del futuro. E ci si muove posizionando un mattoncino dopo l’altro, ricollocando lì qualcosa che altrove già c’è, impilando mercato del pesce e centro congressi con qualche parcheggio o area sportiva, lungo un’idea vaga di terziario che ricorda il cambiare destinazione d’uso a una qualunque area in qualunque Prg o Ptc o come si chiama di un qualunque Comune. Difficile a ora anche solo intuire un progetto di respiro e visione trasformante. E non è un gioco. A Trieste serve un modello, non dei modellini: per quelli c’è, appunto, la mostra lungo le Rive. Bellissima, aperta fino a giugno. Le ciacole su Porto Vecchio chissà fino a quando.
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