Trieste, don Salvadè "spiato" da una ditta con cui trattava una fornitura
TRIESTE Ne ha viste e sentite davvero tante, monsignor Pier Emilio Salvadè, nella sua pluridecennale esperienza da economo diocesano. Da responsabile dei beni dell’intera Diocesi di Trieste, gestisce praticamente tutto: immobili, finanziamenti pubblici, i conti della Curia e delle parrocchie, i rapporti con le istituzioni. Salvadè è “il” braccio destro del vescovo. Ma al monsignore mai era accaduto prima d’ora di essere intercettato.
Don Pier Emilio è convinto che una sua conversazione privata sia stata carpita con un registratore dai responsabili di una società con cui aveva in ballo un’opera milionaria. E li ha querelati, con il sostegno di due avvocati triestini. L’udienza si è tenuta proprio in questi giorni.
La vicenda ha però origine parecchi anni fa, nel 2013. Riguarda l’installazione al Seminario di Trieste – il palazzo di via Besenghi – di una centrale termica a energia rinnovabile per ridurre i consumi. Un impianto di gassificazione a biomasse del valore di 4 milioni e 630 mila euro più Iva. La Curia aveva avviato una trattativa con Progenia srl, una ditta di Treviso specializzata nel settore energetico.
Salvadè, in qualità di rappresentante del Seminario, aveva firmato un preliminare necessario a richiedere autorizzazioni e finanziamento bancario. Ma in seguito a una valutazione di sostenibilità economica, l’opera era saltata. Anche perché da parte della srl mancava un progetto vero e proprio (come sarà dimostrato successivamente in tribunale).
La Progenia aveva quindi fatto causa civile, valutando il comportamento del monsignore come contrario alla buona fede contrattuale. La società aveva chiesto un risarcimento di quasi 3 milioni di euro. Il processo si era chiuso in primo grado, al Tribunale di Treviso, con la “soccombenza” di Progenia. L’impresa aveva perso la prima puntata della causa.
Ma quando ancora erano in corso le trattative con l’azienda, era accaduto dell’altro.
È il 20 novembre del 2014. Don Salvadè, accompagnato dal commercialista Giovanni Miccoli, sta partecipando a una riunione in Curia con i responsabili di Progenia, l’amministratore Mauro Schenato e Franco Zanatta, socio dell’impresa. Si sta cercando di capire se fare l’impianto.
Il monsignore è perplesso – sono pur sempre in ballo milioni di euro – e ha bisogno di calma per decidere se intraprendere l’investimento. Il sacerdote chiede di restare solo con i suoi collaboratori per discutere privatamente. I due rappresentanti dell’azienda si alzano ed escono. Ma nella stanza resta un pc della ditta con il registratore attivato. Questo è quanto riportano gli atti giudiziari.
L’intera registrazione di quei colloqui – sempre secondo l’accusa – verrà utilizzata successivamente dall’impresa per la causa civile, così da dimostrare una presunta strategia ordita dal monsignore per svincolarsi dall’operazione.
I legali a cui si è affidata la Curia per il processo civile, gli avvocati Giovanni Di Lullo, Andrea Polacco e Alberto Polacco, si accorgono di quella stranezza contenuta negli atti: la registrazione dei colloqui. Salvadè e il commercialista Miccoli sporgono querela. Il pm Antonio Miggiani apre un fascicolo: Schenato e Zanatta vengono indagati per “concorso in interferenze illecite nella vita privata”. Scatta il decreto di citazione diretta a giudizio. Il caso è ora in Tribunale a Trieste all’attenzione del giudice Deborah Della Dora. Salvadè e Miccoli sono difesi dagli avvocati Di Lullo e Alberto Polacco: «È una condotta grave che viola i diritti fondamentali – dicono – cioè la comunicazione privata e il domicilio».
I due rappresentanti di Progenia sono difesi dall’avvocato Stefano Tigani, che dichiara: «L’imputazione è solo un’ipotesi e non è sorretta da alcun elemento probatorio, l’istruttoria infatti conferma a mio avviso l’insussistenza del reato contestato ai miei assistiti che hanno sempre contestato fortemente il fatto loro addebitato. Attendiamo fiduciosi la sentenza». Il giudice si pronuncerà il 6 luglio. —
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