Trieste, Dipiazza: «Concedo la sala matrimoni soltanto a uomo e donna»

Il sindaco non modifica la linea «Applico la legge come ho sempre fatto. In caso di ricorso pronto a riparlarne»
Una delle manifestazioni in favore delle Unioni civili
Una delle manifestazioni in favore delle Unioni civili

TRIESTE Se si chiama sala matrimoni ci sarà pure un motivo, deve aver pensato Roberto Dipiazza, in questi giorni di polemiche. E dunque, senza nemmeno citare il garante regionale per i diritti della persona Walter Citti e il suo articolato ragionamento contro la decisione del Comune di ridimensionare tempi e spazi per le cerimonie di formalizzazione delle unioni civili, il sindaco tira dritto: nella sala matrimoni si continueranno a celebrare le sole unioni tra un uomo e una donna. Dice proprio così Dipiazza, «tra un uomo e una donna», in un rapido intervento su Facebook.

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Non per via scritta, ma in video: lui in piedi, abito e cravatta, alle spalle le bandiere istituzionali. Una quarantina di secondi per ribadire che, sulle unioni civili, l’amministrazione comunale «applica la norma» e ancora che la posizione «è chiara e trasparente».

A una settimana dall’apertura di una caso che ha visto intervenire con la bacchetta rivolta verso la giunta Dipiazza la senatrice del Pd Monica Cirinnà, la protagonista della legge 76/2016, Arcigay nazionale e, per ultimo, il garante del Friuli Venezia Giulia, il sindaco decide dunque di dire la sua.

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Non più di tanto, peraltro, se non per riconfermare la convinzione di non avere esagerato nel negare ai richiedenti omosessuali intenzionati a formalizzare spesso una lunga convivenza la sala per il matrimonio tradizionale e di avere loro imposto un orario d’ufficio, come per qualsiasi pratica amministrativa.

Tutto il contrario di quello che invece sostengono Cirinnà, Arcigay e Citti, convergenti nel definire «discriminatorio» e di fatto fuori legge la posizione della giunta. Secondo il garante, in particolare, imporre giorni feriali e spazi angusti per le unioni civili si configurerebbe come un «palese trattamento sfavorevole» tale da violare gli obblighi internazionali al rispetto del principio di parità di trattamento e del divieto di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale.

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La replica di Dipiazza è secca. Secondo il sindaco «il matrimonio esiste solo tra un uomo e una donna». Dopo di che, in presenza di una norma che regola le unioni tra coppie dello stesso sesso, non mancherà «grande apertura nei loro confronti». E ancora, aggiunge Dipiazza in video su Facebook, «applicherò la legge, come ho sempre fatto, difatti ho la fedina penale pulita».

Fatto sta che, al momento, non si cambia rotta: «La sala matrimoni è destinata ai matrimoni, un altro ufficio sarà a disposizione per le unioni civili». E solo in caso di ricorso al Tar (Arcigay non lo ha escluso), «saremo pronti a riparlarne», si limita a dire Dipiazza.

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A cercare di scalfire la linea del Comune prova Paolo Rovis. Secondo il coordinatore di Trieste Popolare, la scelta di vietare l’uso della saletta di piazza Unità «ha tutta l’aria di un dispetto». E se certamente «l’unione civile è altro rispetto al matrimonio, luoghi e orari possono essere gli stessi».

Tra l’altro, insiste Rovis, la sala matrimoni si chiama così «solo per convenzione dato che lì dentro si tengono anche conferenze stampa, incontri, riunioni e, d’estate, funge spesso da camerino per artisti». E dunque, non trattandosi di luogo “sacro”, «Dipiazza, uomo pratico e intellettualmente libero, mai animato, almeno finora, da furori ideologici, ci ripensi: non si può fingere che l’unione civile sia una banalità da orario ufficio».

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