Trieste, denuncia i medici per la perdita del feto
TRIESTE Una diagnosi inesatta, una “cistite acuta” anziché una pielonefrite, i dubbi sul farmaco prescritto, una donna di 42 anni in gravidanza che perde il figlio. Il caso è finito in Procura, con una denuncia da parte della stessa donna e del marito che mette sotto accusa parte dello staff del Pronto soccorso di Cattinara, compreso il primario Walter Zalukar.
I due coniugi, avviando la battaglia legale, come si legge negli atti, si dicono sconcertati dall’«incompetenza» dei medici. Ma la loro versione è completamente ribaltata da Zalukar: «La cistite acuta certificata dal collega non è azzeccata, ma la terapia è corretta. Infatti la paziente è guarita. Non c’è alcun nesso di causalità tra il medicinale (Tavanic, ndr) che si prescrive in queste situazioni e l’aborto. Probabile che la signora abbia perso il figlio per ragioni naturali, forse anche per la stessa infezione, il cui rischio si alza con l’aumentare dell’età».
Ma la coppia ha querelato. La vicenda della quarantaduenne triestina, P.C, comincia la notte tra il 26 e il 27 luglio: «Sentivo un forte dolore al fianco – racconta – avevo 40 di febbre e il mio medico curante mi ha consigliato di recarmi in Pronto soccorso». È il marito ad accompagnarla a Cattinara. Con la tachipirina la temperatura scende a 37,6° e in accettazione assegnano alla paziente il codice verde. In quel momento l’astanteria è piena soprattutto di anziani colpiti da contusioni e dal gran caldo di quei giorni. Dopo un’ora di attesa la febbre risale oltre i 38° e il compagno inizia a lamentarsi per sollecitare una visita. La donna, di lì a poco, viene presa in carico.
«Abbiamo informato il medico del fatto che da mesi io e mio marito avevamo rapporti non protetti, nella speranza di poter avere un figlio e che, pertanto, era possibile che fossi in gravidanza», viene precisato nella denuncia. «E gli abbiamo anche detto che il nostro curante riteneva necessario un’analisi delle urine e un’ecografia. Ma non sono stata visitata: mi hanno fatto fare solo lo stick diagnosticando una cistite acuta». Dal test la donna non appare incinta ma, obietta la diretta interessata, «avevo bevuto molta acqua, quindi non poteva essere valido. Preciso inoltre – aggiunge – che mio marito ha domandato al medico sulla base di quali valutazioni avesse ritenuto di escludere che fosse in atto una pielonefrite. Ci ha risposto che le cistiti sono molto comuni in periodo estivo per i costumi bagnati. E dunque un’ecografia era inutile».
La coppia torna a casa e il quadro peggiora: la febbre sale a 41° e il medico curante prescrive un’ecografia. Che, alla fine, si fa. «Per fortuna il rene non è stato danneggiato – puntualizza la paziente – ma mi hanno dimesso senza effettuare un nuovo test di gravidanza e prescrivendomi di continuare la terapia». A fronte di una persistenza nel ritardo del ciclo, la donna fa autonomamente il test, che stavolta dà esito positivo: «Leggendo il foglio illustrativo del Tavanic, abbiamo appreso che non va assunto quando sei incinta». È qui che iniziano le preoccupazioni: la paura che il farmaco possa aver compromesso la gravidanza. È il 15 settembre, durante un’ecografia al Burlo per la datazione del feto, che la donna scopre di aver perso il figlio in grembo. E di doversi sottoporre a un intervento chirurgico per il raschiamento. La signora è affranta: «A prescindere dalle motivazioni dell’aborto, non posso accettare la superficialità con cui sono stata trattata».
Il primario, il dottor Zalukar, ha un’altra spiegazione: «L’antibiotico prescritto era giusto perché è adatto per le infezioni delle vie urinarie compresa la pielonefrite. Può assumere rilevanza sulla gravidanza solo dopo la quinta o sesta settimana, mentre all’epoca della somministrazione la donna era tra la seconda e la terza. Più facile che abbia abortito per ragioni naturali».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo