Trieste, delitto Giraldi: Fiore condannato a 15 anni

Antonio Fiore, 43 anni. È lui l’assassino del tassista Bruno Giraldi, ucciso nel novembre del 2003. Il giudice Giorgio Nicoli lo ha condannato a 15 anni di reclusione al termine del processo celebrato con rito abbreviato. Ha condonato tre anni in forza di una specifica norma che si applica automaticamente essendo il delitto stato commesso ben 14 anni fa. Ma ha di fatto accolto in toto le richieste dei pm Lucia Baldovin e Federico Frezza: 16 anni.
Nella sentenza pronunciata il 28 marzo alle 18.30, dopo vari rinvii di mezz’ora in mezz’ora, hanno pesato in maniera determinante le conclusioni della perizia disposta nello scorso aprile dallo stesso giudice e affidata a Luigi Bombassei De Bona, un tecnico considerato tra i maggiori esperti d’armi. Consulenza che non aveva lasciato spazio a dubbi e soprattutto aveva consentito - dopo mesi e mesi di stagnazione - un’accelerazione consistente delle indagini della Mobile e dei carabinieri diretti dai pm Frezza e Baldovin. «Aspetto le motivazioni, ma non posso che preannunciare l’appello. Si è trattato di un processo senza prove», ha dichiarato seccamente il difensore di Fiore, l’avvocato Giovanna Augusta de’ Manzano.
La pistola della “prova del nove” che ha incastrato Anton, così si faceva chiamare Fiore nell’ambiente dello spaccio, è una Beretta 7.65. Era stata trovata dai carabinieri nel 2012 pochi mesi prima dell’identificazione di Fiore. Fin da subito gli investigatori erano stati convinti che quella fosse stata l’arma usata per l’assassinio del tassista. Ma fino al momento della perizia non era mai emerso nulla di certo. Poi le analisi avevano «dimostrato che il bossolo calibro 7,65 mm Browning (quello che aveva ucciso Giraldi, ndr) proveniva dalla pistola semiautomatica Beretta modello 70 calibro 7.65. Quindi il bossolo è stato esploso da quell’arma», così aveva scritto Bombassei De Bona.
L’indagine era partita a febbraio 2013 da una perquisizione effettuata dai carabinieri del Nucleo investigativo all’epoca comandato dal capitano Fabio Pasquariello (la Mobile, poi entrata in azione, era allora diretta da Roberto Giacomelli) nell’ambito di una storia di droga nella casa di Silvano Schiavon, 44 anni, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine. Ma solo nell’estate del 2014, grazie agli accertamenti dei Ris di Parma, era stato possibile collegare l’arma all’omicidio Giraldi.
Le prove emerse in aula a carico di Antonio Fiore erano all’inizio scaturite dalle dichiarazioni di Alfonso Forgione, 31 anni, un suo ex amico. I pm lo avevano interrogato addirittura per tre volte durante l’indagine e alla fine Forgione aveva ceduto. Aveva detto: «Ho parlato solo dopo undici anni perché avevo paura. Ora mi sento pulito». Poi l’uomo, che fino a qualche anno fa abitava in largo Santorio, aveva riferito delle confidenze avute dall’amico d’infanzia: «Dopo circa due mesi (dall’omicidio, ndr) in un nostro incontro casuale mi ha detto testualmente: “Hai visto il telegiornale?” e poi “Ho ammazzato io quel tassista”.
Gli ho chiesto: “Cos’hai combinato?”. Fiore aveva risposto con un “sì”. Io sono rimasto senza parole, non sapevo che cosa dire». Per l’omicidio del tassista Bruno Giraldi, Fabio Buosi ha già scontato, in buona parte ai domiciliari, la condanna a 18 anni. In quell’istruttoria aveva sempre cercato di gettare la responsabilità dell’omicidio su un altro uomo, salito con lui a bordo del taxi di Bruno Giraldi.
Ma il nome non l’aveva mai fatto anche se all’inizio aveva indirettamente chiamato in causa un marittimo triestino che vive a Udine e che le indagini poi hanno dimostrato del tutto estraneo alla vicenda. Ora quell’uomo ha un nome. È quello di Anton.
In serata il procuratore capo Carlo Mastelloni ha definito gli esiti del processo a carico di Fiore «un successo della Procura». In aula era presente anche la vedova di Giraldi. «Spero che vada in galera», ha commentato quando ha saputo della condanna.
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