Trieste, dazio europeo mette in pericolo Sertubi
TRIESTE L’Europa rischia di mettere definitivamente in ginocchio la Sertubi, già provata da anni molto difficili. La Commissione europea ha infatti stabilito, con decisione per il momento provvisoria della durata di sei mesi (con effetti, riferiscono i delegati sindacali, sino indicativamente al prossimo aprile), l’applicazione di un dazio del 32% circa su tutti i tubi importati dall’India e poi rivenduti in Europa. Un costo aggiuntivo che rischia di diventare un macigno da migliaia e migliaia di euro insostenibile per la proprietà.
Il gruppo Jindal si è infatti mosso per ottenere un intervento urgente dal governo italiano, inviando una lettera al Ministero dello Sviluppo economico nella quale si chiede di mettere rapidamente in campo azioni che possano consentire quantomeno di ottenere una tassa inferiore. Almeno pari a quel 16% che l’Ue ha imposto a un altro operatore del settore, la Electrosteel.
Nella missiva al Mise, Jindal specifica anche che se la situazione non dovesse cambiare, la società si troverà costretta a chiudere la sede triestina. In ballo ci sono gli attuali 78 posti di lavoro, quota di organico cui si è arrivati negli anni durante la crisi (ai tempi della gestione Duferco il totale dei lavoratori aveva toccato il numero di 220, ora invece 50 ex dipendenti in mobilità attendono novità sul reinserimento occupazionale anche dal fronte Ferriera).
Ma cos’ha generato questa mazzata comunitaria? Una denuncia dell’azienda francese Saint-Gobain, altra realtà che produce tubazioni in ghisa e le vende in Europa.
«L’azione anti-dumping - riassume Michele Pepe (Fim Cisl), Rsu Sertubi - è stata avviata perché la legge prevede che non si possa importare un bene, nel caso un tubo, a un prezzo inferiore a quello con cui la ditta produttrice lo vende sul mercato interno. Deve essere uguale o superiore. Secondo i francesi sia noi sia Electrosteel lo facciamo e quindi hanno chiesto il provvedimento. La decisione, che è provvisoria, si basa su questa impostazione».
Interpretazione che, chiaramente, Sertubi e Jindal contestano: «La nostra azienda riceve i tubi grezzi dall’India - spiega Pepe - e poi li lavora qui a Trieste, sia per quanto riguarda la copertura esterna sia all’interno. Vengono cioè predisposti dei tubi per l’acqua potabile con tutti i crismi. Electrosteel invece importa il prodotto finito nei suoi magazzini.
Non capiamo questa disparità di trattamento, considerate peraltro le lavorazioni che noi effettuiamo in Italia. Si chiede quindi al governo di prendere una posizione - sottolinea Pepe -, ed è incredibile che tutto ciò avvenga proprio quando servono, come ora, investimenti sulla rete idrica. Tra quattro-cinque mesi, in questa situazione, rischiamo la chiusura».
Della vicenda è stata informata anche Confindustria Venezia Giulia, come pure la Regione «dove non ho visto tutta questa agitazione per quanto sta accadendo - conclude il sindacalista della Fim Cisl -, anzi sembrava quasi che nessuno sapesse».
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