Trieste, dalle bollette all’affitto la crisi fa nuove vittime
TRIESTE La povertà dilaga. Dopo la Caritas anche la Comunità di San Martino al Campo, impegnata fin dagli anni Settanta a fianco degli ultimi e degli emarginati, segnala a Trieste un inquietante crescendo di famiglie in grave difficoltà.
Non è un caso che il presidente della storica onlus, Claudio Calandra, a pagina due del bilancio sociale presentato ieri pubblicamente alla città, parli proprio di «dilagare» della crisi economica e occupazionale. Avrebbe potuto usare toni meno forti, il presidente, per descrivere lo scenario in cui galleggiano i triestini. Invece no.
Il capoluogo, alle prese pure con la difficile partita dell’immigrazione, è ancora nel mezzo del tunnel e fatica a scorgere la fine. Dai senzatetto a chi ha perso il lavoro, da chi domanda un aiuto per pagare la bolletta, l’affitto o una semplice spesa: scorrendo tabelle e sommari del bilancio, sono un po’ tutti i fronti a documentare che la città non se la passa niente affatto bene.
È soprattutto lo “Sportello di ascolto” di via Gregorutti a intercettare ogni giorno la vastità di storie e drammi personali. Le persone che si sono rivolte al centro sono balzate dalle 761 del 2014 alle 955 del 2015; l’incremento è del 20,3%.
Ma il dato tiene conto solo chi si è passato un’unica volta, mentre se si guarda il numero complessivo delle richieste si sale a 3.040, quando invece l’anno prima ci si fermava a 2.484. Siamo al +18%. In 846, su quei 955, hanno ricevuto un sostegno economico. Erano 553 nel 2013.
«Il problema principale è la disoccupazione - osserva la coordinatrice della Comunità Miriam Kornfeind - e sono sempre più persone della nostra città, cioè residenti a Trieste. Ci sono poi situazioni di cattiva gestione delle risorse e ciò richiede un accompagnamento, assieme a servizi sociali e Caritas, nell’educare a gestire i soldi».
Famiglie che si lanciano in acquisti rateizzati e che accumulano debiti su debiti e poi non ce la fanno a finire il mese o a pagarsi le visite mediche. «Talvolta le cifre su affitti arretrati sono talmente alte che bisogna per forza lavorare in rete con altre associazioni e realtà private. Altrimenti nessuno da solo, analogamente agli enti pubblici, può dare risposte adeguate» rileva la coordinatrice.
Non sono meno preoccupanti i numeri del dormitorio di via Udine, attivo dal 2004, che offre ospitalità notturna ai clochard con 25 posti letto. Nel 2014 la Comunità ha aperto le porte a 469 persone e nel 2015 a 489. La stragrande maggioranza, l’86%, proviene da Paesi stranieri. Una trentina, invece, i senza dimora che hanno potuto usufruire degli spazi residenziali della “Casa Samaria” che si trova nello stesso palazzo.
Vengono intercettati in Stazione ferroviaria o nelle panchine delle piazze, ad esempio, dall’Unità di strada. Un servizio che nel biennio è riuscito ad avvicinare 238 persone, comprese intere famiglie o gruppi di Sinti, per iniziare un percorso di recupero, accompagnamento e reinserimenti sociale.
Un periodo, quello considerato dal bilancio, che ha messo a dura prova San Martino al Campo nella gestione dei profughi: ammontano a 1.942 nel 2015 gli accolti nel Centro diurno di via Udine, la struttura che offre il docce, lavanderia, abiti, colazione, sostegno sanitario e legale.
Ben 874 in più del 2014; quasi il 98% sono richiedenti asilo, successivamente inseriti nel sistema dell’Ics-Caritas, provenienti soprattutto dall'Afghanistan e dal Pakistan. Ma la Comunità di San Martino al Campo opera anche su altre sacche di fragilità e disagio.
È l’esempio di “Villa Stella Mattutina” a Opicina pensata per chi è in emergenza abitativa, dell’appartamento “Casa San Giusto” di via Rota per chi soffre di deficit cognitivi e la struttura di via Brandesia gestita con il Csm e la Cooperativa Germano a sostegno delle persone con disturbo mentale.
Sono invece 260 i detenuti incontrati dagli operatori della Comunità nel “Gruppo Carcere” per i colloqui, le attività e la distribuzione di generi di prima necessità. In 34 sono stati impegnati in lavori di pubblica utilità, come misura alternativa alla pena.
Una trentina invece i giovani a rischio abbandono scolastico inseriti nei progetti di sostegno e recupero; altrettanti, nel 2015, i ragazzi che hanno frequentato il centro “Smac”, lo spazio di aggregazione per minori.
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