Trieste, confermata l’infermità mentale: Meran assolto anche in Appello. Ecco come è andato il processo

La Procura generale aveva chiesto la condanna non ritenendo pienamente affidabile la perizia chiave

Gianpaolo Sarti

TRIESTE. Il secondo round giudiziario sul drammatico omicidio dei due poliziotti Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, uccisi a colpi di pistola in Questura il pomeriggio del 4 ottobre 2019, conferma l’esito del primo grado: Augusto Stephan Meran, l’assassino, è stato assolto anche dalla Corte di Assise di appello. La sentenza è stata pronunciata venerdì pomeriggio, 28 aprile, dal giudice Igor Maria Rifiorati. Il fascicolo, ora, con ogni probabilità passerà alla Cassazione.

Nel primo grado

Nel processo di primo grado, un anno fa, il dominicano era stato considerato “incapace di volere”, perché malato psichiatrico. Tesi accolta dall’Assise: di qui l’assoluzione e la conferma della pericolosità dell’imputato con il conseguente trasferimento dal carcere di Verona a una Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) per trent’anni. Dopo mesi e mesi di ricerca, la struttura di La Spezia ha dato disponibilità.

La parte civile

Gli avvocati di parte civile, ieri in appello, hanno tentato fino all’ultimo di ridiscutere la perizia del primo grado, quella che aveva comportato l’assoluzione, per dimostrare che il killer sapeva eccome ciò che stava facendo in quel drammatico pomeriggio del 4 ottobre. Cioè che era nel pieno delle sue facoltà mentali, considerando come si era mosso in Questura: Meran aveva prima strappato l’arma a un poliziotto, all’agente Rotta, in bagno, scaricandogli addosso quattro pallottole. Poi aveva esploso altri cinque colpi contro Demenego che tentava di soccorrere il collega. Due omicidi, ma anche altri otto tentati: perché, si ricorderà, l’assassino aveva preso pure l’arma di Demenego sparando quindi con due pistole agli altri agenti all’interno e all’esterno della Questura. Uno, Cristiano Resmini, era stato ferito.

Vizio totale di mente

Ma invece il processo di primo grado aveva riconosciuto all’assassino «un vizio totale di mente», come certificato nell’ultima perizia psichiatrica del dottor Stefano Ferracuti, ordinario di Psicopatologia Forense della facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di Roma. L’incarico era stato assegnato dalla Corte su richiesta dagli avvocati Alice e Paolo Bevilacqua, difensori dello straniero. Ferracuti aveva ritenuto il dominicano schizofrenico e, al momento dei fatti, in preda a una condizione «di delirio persecutorio tale da escludere totalmente la capacità di volere». Perizia, questa, che aveva ribaltato quella disposta in sede di incidente probatorio preparata dal gruppo nominato dal gip Massimo Tomassini (nell’équipe Mario Novello, psichiatra, già responsabile del Dipartimento di Salute mentale Medio Friuli). Lo studio aveva concluso per una «parziale» incapacità. Ciò avrebbe significato una condanna certa.

La tesi di Ferracuti

Nel processo di primo grado, alla fine, era stata sposata le tesi di Ferracuti e non quella dell’équipe di Novello, tanto che la stessa Procura aveva chiesto l’assoluzione. Poi la Procura generale, rappresentata in appello da Carlo Maria Zampi, aveva fatto ricorso: «La perizia di Ferracuti – ha spiegato ieri il magistrato – è molto meno affidabile di quella di Novello». Il motivo? Un accertamento, a detta dell’accusa, di fatto svolto su documenti e con due soli colloqui con Meran (tutt’altro che collaborativo). Zampi ha infatti chiesto la condanna.

Gli avvocati di parte civile – Rachele Nicolin per la famiglia Demenego, Maria Cristina Birolla per i Rotta, Roberto Mantello per Resmini (l’agente ferito) e i legali Valter Biscotti e Ilaria Pignattini (gli avvocati di Fervicredo, associazione feriti e vittime della Criminalità e del dovere) si aspettano il ricorso per Cassazione.

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