Trieste, condannata la parrucchiera del Tlt
TRIESTE Due mesi di reclusione convertiti nel pagamento di 15mila euro per aver dato dei fannulloni a due agenti della Squadra volante. È questa la pena alla quale è stata condannata Tiziana Severi, 56 anni, titolare di un salone di parrucchiera in viale XX settembre (poi ceduto), ma soprattutto “pasionaria” del movimento Territorio Libero.
A pronunciare la sentenza al termine di un processo costellato da ricusazioni, richieste di astensione, eccezioni per difetto di giurisdizione e di legittimità costituzionale, tutte peraltro andate a vuoto, è stato il giudice Massimo Tomassini che ha accolto le richieste del pm d’udienza Federica Zambon. Il difensore, l’avvocato Edoardo Longo, si è battuto per l’assoluzione o comunque per togliere dai guai la sua assistita. L’avvocato di parte civile William Crivellari ha sottolineato l’evidenza: non si possono ingiuriare pubblicamente due poliziotti in servizio accusandoli di essere dei fannulloni e pretendere l’immunità dichiarando di appartenere a uno stato inesistente. Non solo: Crivellari ha aggiunto che è evidente la strumentalizzazione e che tale strumentalizzazione è ancor più intollerabile quando ci si accanisce per motivi politici contro chi tutela l’incolumità della collettività per pochi soldi al mese.
L’episodio rievocato nell’aula del tribunale porta la data del primo marzo 2013. La parrucchiera aveva visto la volante con i due agenti fermarsi nell’area pedonale del Viale a pochi metri dal suo salone. Quando la vettura era ripartita la donna aveva urlato ai poliziotti: «Siete dei fannulloni che pensano solo a fare gli affari propri. A me hanno dato un sacco di multe e voi privilegiati lasciate la macchina dove volete». Dopo pochi metri l’auto della polizia si era fermata e i poliziotti avevano raggiunto l’esagitata parrucchiera che, secondo gli accertamenti eseguiti dal pm Matteo Tripani, «si era anche rifiutata di fornire indicazioni sulla propria identità personale» ritenendo che i poliziotti appartenessero a un paese ostile e invasore. Un concetto questo che Severi ha più volte ribadito in aula nel corso delle svariate udienze che, faticosamente, si sono susseguite: «Sono imbarazzata anche perché vengo giudicata da un tribunale ostile» ha detto testualmente.
Il processo alla parrucchiera “pasionaria” è stato solo l’ultimo di una lunga serie che ha caratterizzato l’azione sul territorio del movimento indipendentista. Nel febbraio del 2014, in occasione della prima udienza nei confronti della militante accusata di oltraggio a pubblico ufficiale e rifiuto di fornire la propria identità a pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, l’avvocato difensore aveva presentato un’istanza chiedendo al giudice Massimo Tomassini di astenersi dal procedimento alla luce della burrascosa udienza del 17 luglio di due anni prima e della denuncia penale avanzata dal giudice nei confronti degli aderenti al movimento presenti in aula. Tomassini aveva respinto l’istanza e Longo gli aveva “risposto” con un formale atto di ricusazione richiedendone la trasmissione alla Corte d'Appello. Il magistrato aveva provveduto all’immediato invio dell’atto alla Corte d’Appello stabilendo però nel contempo di proseguire con il procedimento. A quel punto l’avvocato Longo aveva ribattuto depositando eccezione per difetto di giurisdizione ed eccezione di legittimità costituzionale dell’articolo 1 del Codice penale. Opposizioni che entrambe erano state ritenute da Tomassini infondate.
A deporre in aula, durante il processo, anche alcune dipendenti di Severi. Ma i «non ricordo» erano stati più numerosi delle certezze.
Alla fine la sentenza che ha previsto anche il risarcimento di 500 euro a testa per i poliziotti della Volante.
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