Trieste, complesso Ater di via Gemona: in estate via alla riqualificazione

All’interno di quel comprensorio di case popolari si è consumato uno degli omicidi più efferati che Trieste ricordi: quello di Giovanni Novacco, torturato e ucciso dai suoi aguzzini, Giuseppe Console e Alessandro Cavalli. Oggi, a due anni e mezzo di distanza da quel fatto di sangue, il progetto di riqualificazione delle palazzine Ater di via Gemona e via Gradisca, situate nel cuore di Gretta, dopo una serie di ritardi di ordine burocratico può finalmente prendere il via.
Si tratta di un progetto che ha avuto un iter fin qui tormentato ed è passato attraverso numerose modifiche, bocciature e altrettanti via libera da parte di Comune e Soprintendenza: la versione definitiva del piano è stata adesso ufficialmente approvata. Tutti e cinque gli edifici, ognuno dei quali si sviluppa su quattro piani, verranno completamente demoliti. Al loro posto sorgerà un nuovo complesso residenziale, moderno e funzionale: 84 gli appartamenti che nasceranno in totale, dotati di tecnologie innovative, spazi verdi e altrettanti parcheggi interrati. Un intervento complessivo da 13 milioni di euro, derivanti da finanziamenti regionali.
«Finalmente ci siamo - afferma Antonio Ius, direttore Ater Trieste -. Abbiamo dovuto superare numerosi intoppi burocratici ma adesso abbiamo ottenuto il via libera definitivo a costruire in quanto sono stati prodotti i miglioramenti richiesti al progetto originale, che doveva essere maggiormente in linea con un contesto di edilizia popolare. Nella stagione estiva partiranno i lavori che si concluderanno nell’arco di circa quattro anni».
Nel frattempo però tutta l’area è diventata vittima di incuria e degrado. È trascorso ormai quasi un anno da quando sono stati effettuati i primi (e finora unici) interventi: quelli di rimozione dell’amianto e degli altri materiali pericolosi da avviare a discariche differenziate. Poi più nulla. Ecco che allora erbacce e arbusti hanno nuovamente circondato gli edifici, mentre le piante rampicanti si sono avvinghiate alle reti che delimitano l’area. A terra si nota un’infinità di detriti, cumuli di mattoni e pezzi di intonaci. È una zona a tutti gli effetti abbandonata, che si è trasformata rapidamente in una sorta di discarica abusiva a cielo aperto. In mezzo al verde, soprattutto nella parte retrostante del complesso che confina con via del Collio, si trova un po’ di tutto: finestre rotte, sedie, trolley, ventilatori, vecchi stendibiancheria, pezzi di mobili rovinati.
Ma non basta. Nonostante l’area sia stata completamente transennata e sbarrata con grossi lucchetti, da qualche tempo, di notte, la zona si popola di presenze. D’altronde superare la recinzione alta meno di due metri è un gioco da ragazzi. Ancora più facile se - come del resto effettivamente accaduto - una delle reti di protezione è stata divelta, creando di fatto una via di accesso alla zona proibita. E le firme di quelle presenze sono evidenti: cocci di bottiglie sparsi ovunque ed una serie di scritte e disegni realizzati con le bombolette spray sui muri esterni degli edifici. Veri e propri graffiti colorati che - nonostante le porte e le finestre dei primi piani delle abitazioni siano state murate - si intravedono anche all’interno. Tra l’altro proprio al secondo piano di quella che fu la casa dell’orrore. Probabilmente non un caso. Tutti segni e ricordi, comunque, destinati ora a essere spazzati via dall’intervento di ruspe e operai che farà sorgere il nuovo complesso.
Pierpaolo Pitich
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