Trieste città sempre più vecchia: nel 2026 età media di 49 anni
Dai sintomi alla diagnosi. Più precisamente: all’autodiagnosi. Il check-up statistico non commissionato fuori, ma fatto in casa dai tecnici del Municipio, non lascia scampo. E così il luogo comune diventa sentenza: Trieste non solo è, oggi, una città di vecchi (il che non è da buttare, perché vuol dire che qui si vive bene e a lungo) ma è anche una città in cui, domani, proprio i vecchi saranno ancora, e comunque, più di oggi. E considerato poi che il destino anagrafico più plausibile è quello di un calo, pur contenuto, della popolazione residente totale, il conto è presto fatto: nella Trieste che verrà da qui ai prossimi 15 anni ci saranno sempre meno triestini in forze, cioè in età lavorativa tra i 15 e i 65 anni, che manterranno (benché tale verbo sia romanzato e improprio, visto che il sistema previdenziale, in particolare, è nazionale e non territoriale) sempre più concittadini cosiddetti “inattivi”, sotto i 15 anni o sopra i 65. Il rapporto tra questi ultimi e gli “attivi” - chiamato indice di dipendenza strutturale - oggi è del 63,2% e, nel 2026, si presume toccherà il 69%.
Tale autodiagnosi - di una condizione (e non per forza una patologia) cronica che si fa sentire ovunque ma in questa “città di vecchi” di più - viene appunto dall’Ufficio comunale di statistica, che ha elaborato su input politico dell’amministrazione Cosolini il rapporto “Trieste e la popolazione ieri, oggi e domani: scenari demografici 2012-2026 nel Comune”. Il check-up futuristico - presentato ieri in Municipio da Emiliano Edera da assessore ai Servizi demografici con il direttore dei Servizi informativi Lorenzo Bandelli e la funzionaria dell’Ufficio di statistica Antonella Primi che ha curato lo studio - dispensa in effetti una serie di scenari assai interessanti. Messe le mani avanti - nel senso che i tecnici ricordano come si tratti di un lavoro basato su freddi modelli statistici passibili di scostamenti anche ampi, da rivedere a cadenza triennale e da riaggiornare prossimamente (e probabilmente con una popolazione al ribasso) in base ai numeri finali dell’ultimo censimento 2011 - ecco dunque come si evolverà presumibilmente la società triestina da qui all’orizzonte teorico del primo gennaio 2027. L’età media dei residenti, oggi poco sopra i 47 anni e mezzo, si attesterà - effetto dell’aumento dell’aspettativa media di vita - sui 49. Oltre che un’impennata media da 184 e mezzo a 196 dell’indice di ricambio della popolazione attiva, cioè del numero di quelli che stanno per uscire dal mercato del lavoro (dai 60 ai 65 anni) ogni cento che ci stanno entrando (dai 15 ai 20 anni), ne conseguirà anche un innalzamento marcato del cosiddetto indice di vecchiaia (dato dagli over 65 ogni cento under 15) dall’attuale 246,29 a un 284,57 nell’ipotesi più plausibile. Andasse tutto liscio sarà un 268,09, che diventerà invece 297,45 nel caso più negativo. Il report infatti propone, per ciascun parametro, tre previsioni. Una intermedia, ritenuta la più probabile, costruita in continuità con i trend demografici del recente passato: un ragionevole e progressivo aumento del tasso di fecondità, oltre che dell’aspettativa di vita, abbinato a un lieve ed altrettanto graduale calo dei saldi migratori. L’ipotesi “bassa”, o pessimistica, parte a sua volta da una stazionarietà del tasso di fecondità, da una speranza di vita teorica che aumenta più lentamente negli anni, e da saldi migratori decisamente negativi. Quella “alta”, ottimistica, muove al contrario da previsioni di tassi di fecondità più alti, da aspettative di vita più tirate rispetto alle prospettive medie, e da un ritorno a saldi migratori positivi. Solo in quest’ultima ipotesi - si legge nel report stesso - «si prevede che il sistema delle attività economiche esprima una domanda di lavoro che trova in sede locale risposte qualitativamente e quantitativamente adeguate ed una buona qualità di vita nel territorio oggetto di studio».
Ma l’indice anagrafico e demografico che tira le somme è quello come si diceva della dipendenza strutturale, che deriva dal numero degli inattivi ogni cento in età lavorativa: qui il rapporto previsto al primo gennaio 2027 - come si può vedere nella tabella sopra - non si discosta di molto tra le tre ipotesi, oscillando attorno a quota 69 a fronte del 63,2 di oggi.
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