Trieste città globale la finanza creativa prende slancio a metà Ottocento

L’epoca delle costruzione delle infrastrutture e il ruolo di Pasquale Revoltella. Prospera il commercio di legname 

Scende a sbalzi la carrozzina con il bambino dentro lungo la scalinata di Odessa, nelle scene piene di retorica sovietica del film di Eisenstein. Quanti sanno che quei gradini sono in pietra d’Istria trasportata sul Mar Nero da una nave salpata da Trieste? Curiosa storia parallela quella di Odessa e Trieste. Ambedue città portuali, ambedue volute da donne dal temperamento fortissimo: Caterina di Russia e Maria Teresa d’Austria. Donne che reggevano le sorti di due imperi continentali, bisognosi di sbocchi al mare. Città artificiali, in un certo senso, la cui grandezza e prosperità dipese da energie, capitali e talenti, venuti da fuori. Merci pregiate quelle che stavano alle loro spalle, il grano dell’Ucraina per Odessa, il legname delle foreste austriache, slovene, per Trieste. Frumento e legno, che hanno fatto la fortuna di tanti.

1850-1870, è l’epoca della costruzione delle grandi infrastrutture di trasporto: linee ferroviarie, c’è bisogno di legname per le traversine. A Trieste Pasquale Revoltella, uomo di finanza e d’industria, gioca da protagonista nell’impresa che cambierà le rotte del commercio mondiale. Anche per tagliare l’istmo di Suez c’è bisogno di legname, di tanto legname per le impalcature dei cantieri. Da Mantova arrivano a Trieste i Loria, due fratelli ebrei, commercianti di legname, che hanno fiutato l‘affare. Moise Loria si trasferisce al Cairo, diventa fornitore di Ismail Pascià. Ma senza i modi nuovi di mobilitare i capitali, niente infrastrutture, c’è bisogno della finanza innovativa, oggi diremmo “creativa”. Sono ancora due fratelli ebrei a porne le fondamenta. Sono portoghesi e ottengono da Napoleone III l’autorizzazione ad aprire a Parigi la prima merchant bank della storia, il Crédit Mobilier. Non è venture capital ma un po’ gli assomiglia. Partecipazioni azionarie nei grandi progetti di costruzione d’infrastrutture, nelle prime compagnie ferroviarie. Andranno a gambe all’aria ma che c’entra? Il capitalismo divora se stesso ma va avanti, è quella che Marx definisce una “rivoluzione dall’alto”. Non so se Pasquale Revoltella, per i suoi legami con Lesseps, abbia avuto affari da condividere con i fratelli Péreire, certamente li ebbe quel De Ferrari che con il suo lascito ha permesso la costruzione del porto moderno di Genova. Revoltella e De Ferrari, due vite parallele. Ma anche se non ha avuto rapporti diretti coi Péreire il Revoltella resterà nella storia come un protagonista della finanza innovativa di quel periodo, quando Trieste non era solo un emporio commerciale ma anche una piazza finanziaria. Perché a Trieste finanza innovativa voleva dire assicurazioni. La “polizza triestina” è riconosciuta in tutto il Mediterraneo e con il ramo vita le Generali guadagnano di più che con il ramo trasporti.

E’ un periodo travolgente questo della metà dell’Ottocento per un capitalismo che prepara la seconda rivoluzione industriale. Non sono in molti a capire che sta succedendo, il ritmo che hanno preso gli avvenimenti non lascia spazio né alla riflessione né alla presa di coscienza. Si crea ricchezza, ricchezza dal nulla, ex nihilo, come oggi con gli hedge fund, con i crediti deteriorati. Uno solo se ne rende conto, con la sua strabiliante lucidità, uno solo sa dare un nome alle cose che accadono: creazione di ricchezza ex nihilo. In famiglia lo chiamano il Moro. Ebreo, tedesco, comunista, Karl Marx ci ha lasciato un’analisi di quel primo apparire della finanza “creativa” che torna prepotentemente attuale oggi. Ne traccia le caratteristiche in una serie di articoli scritti per un giornale americano, la New York Daily Tribune. Ed è lì che il nome di Trieste ricompare, come di una città che di quella “rivoluzione dall’alto” fa parte a pieno titolo, città globale. Vorrebbe tornare ad esserlo, oggi, città globale. Ogni tanto qualcuno che ci vive fa le prove per vedere se riesce a farla diventare tale. Ma viene sommerso subito dal filisteismo atavico dei triestini e dalle mode nuove della politica, che tutto vorrebbero riportare alla dimensione meschina del bar sottocasa. Né si capisce bene che cosa intende uno per città globale o un altro ancora per città glocale. A Trieste serve invece la costruzione di una genealogia selettiva, dove si riesca a mettere in sequenza i punti più alti della sua storia, per poter dire ai giovani: quello è il cammino che dovete proseguire. Proprio dal legname prende le mosse la vicenda più alta della nostra storia cittadina. Era un funzionario dell’amministrazione forestale Josef Frantisek Ressel, si mise in testa di muovere gli scafi in mare senza la vela. Inventò l’elica marina e la fece funzionare la prima volta nel golfo di Trieste, la concepì, la costruì a Trieste. A me pare che la dimensione planetaria, epocale, di quell’invenzione sorpassi tutte le grandi cose che questa città ha pur visto nascere. Ma Trieste non è di questo parere, preferisce esaltare la memoria di pallide figure. A me piacerebbe invece poter star seduto agli Specchi, mentre sorseggio un rabarbaro, al sole, in Resselplatz. D’altronde mia nonna Giustina, sedici tra fratelli e sorelle, nata e vissuta a Montebello, non la chiamava mai Piazza dell’Unità, ma sempre e soltanto “Piaza Granda”, come ai tempi che furono. —

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